'Ndrangheta nel Veneziano: ecco le aziende coinvolte nella truffa

A capo delle società erano stati messi gli “impresentabili”. Indagini nate da un numero di telefono su un bigliettino
DE POLO - DINO TOMMASELLA - JESOLO LIDO - MARKET A&0 DI VIA BAFILE
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SAN DONA'. C’erano la ditta di alimentari e quella di trasporti, la ditta che commercializzava carne e la pizzeria. Attività diverse, accomunate dall’essersi trovate in seria difficoltà economica e quindi acquisite con soldi sporchi dalla banda legata alla ‘ndrangheta che è stata sgominata martedì dai carabinieri della sezione di polizia giudiziaria della Procura di Venezia coordinati dal tenente colonnello Helios Scarpa dopo tre anni di indagini.

Ditte “salvate” solo all’apparenza: le società venivano acquisite secondo il piano orchestrato da Michelangelo Garruzzo, 56 anni di Rosarno (Rc) trapiantato a Meduna di Livenza, e Antonio Anello, 63 anni, originario di Curinga (Cz) e domiciliato tra Jesolo, San Donà e il Miranese, entrambi con contatti diretti con le cosche “Pesce” di Reggio Calabria e “Fiarè”, alleata al clan “Mancuso” di Vibo Valentia. I due sono stati arrestati e si trovano in carcere rispettivamente a Palmi e Catanzaro. Operavano con l’aiuto di cinque sodali (tra cui i rispettivi figli) raggiunti dall’obbligo di dimora e di presentazione alla polizia, e, secondo la Procura antimafia, di altre 60 persone indagate a vario titolo per associazione per delinquere finalizzata alla consumazione di truffe, bancarotta fraudolenta, indebito uso di carte di credito, ricettazione, riciclaggio, violenza privata con l’aggravante per alcuni dei metodi mafiosi. Attraverso le società acquisite, venivano messe a segno truffe ai danni di fornitori, istituti di credito e finanziari: i prodotti che venivano ordinati e poi consegnati dai fornitori non venivano pagati. E per evitare la reazione degli stessi truffati - va ricordato nel 2015 il pestaggio del commesso stagionale del “Bafile Market” a Jesolo (gestito da una delle società dell’organizzazione) che aveva chiesto il suo stipendio - la ditta veniva fatta fallire per bancarotta in 90 giorni. Centocinquanta le imprese truffate tra Veneto e Friuli occidentale per un giro di 12 milioni.

Indagato anche un consulente veneziano

Dalla crisi alla truffa. Sono una quindicina le aziende con sede tra il Veneto Orientale e la Marca usate dalla banda per i loro affari. Tra queste la “Chinellato” di Marcon (comparto alimentare), la “Cinque Stelle Carni” con sedi a Noventa di Piave e Istrana, la “Logistica GM” di Noventa, la società “Biblo srl” che ha gestito la pizzeria “Enfant Terrible” sulla Treviso Mare a Roncade, la “More Fantasy” (abbigliamento) di Mestre, la “Natura & Frutta” di Salerno poi trasferita a Noventa.

Gli “impresentabili”. Così i capi dell’organizzazione chiamavano le “teste di legno” messe a capo delle società acquisite. Persone spesso sprovvedute, senza esperienza imprenditoriale, incapaci di gestire qualsiasi tipo di rapporto (commerciale, ma anche bancario) e per questo bisognose di precise indicazioni che arrivavano puntuali dai vertici. Per questo servizio, gli “impresentabili” venivano remunerati con qualche centinaia di euro. A tirare le fila dell’organizzazione c’erano Garruzzo e Anello, con un ruolo di dominus ricoperto da Garruzzo che ai suoi ricordava sempre: «Io devo essere sempre il primo a sapere le cose».

Il bigliettino da visita. È da un numero di telefono riportato su un biglietto da visita che è scaturita l’indagine. Era il 2012. I carabinieri stavano indagando su due ditte – una di logistica e l’altra di vendita e noleggio di veicoli con sede nel Veneziano – che avevano truffato i clienti e poi erano fallite. All’apparenza sembravano due casi distinti. Durante una perquisizione domiciliare a Camponogara per una vicenda di sospette infiltrazioni della ‘ndrangheta, i carabinieri avevano rinvenuto un bigliettino da visita di una società con un numero di telefono ricollegabile alle due ditte di cui sopra. Da quel numero i militari avevano intuito che potesse esserci qualcosa di ben più grosso dietro.

I corrieri. Attraverso le società, la banda operava gli acquisti più vari - alimentari, ma anche porte blindate, frigoriferi e molto altro - non pagando i fornitori. Tonnellate di prodotti che dal Nord finivano in Calabria da dove arrivavano gli ordini e dove poi la merce veniva venduta regolarmente in supermarket e discount a prezzi molto più bassi del normale, con un danno al mercato. I trasporti venivano assicurati da corrieri nazionali, anch’essi truffati. Unica eccezione per i prodotti deperibili: a garantire il viaggio erano dei corrieri calabresi - ora indagati - che per la benzina usavano tessere carburante intestate a flotte aziendali inesistenti.

 

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