Kenneth Zeigbo «La mia nuova vita dopo il pallone»
MESTRE. «C'è qualcosa che Dio ha deciso per noi, questo qualcosa si chiama destino. Dobbiamo accettarlo, senza tanti rimpianti». Parole di Kenneth Zeigbo. Il suo destino era quello di diventare un ottimo calciatore: grande fisico, qualità tecniche, animo forte. Se le sue ginocchia fossero state forti come il cuore, sarebbe diventato un grande. Ma gli infortuni lo hanno perseguitato. Una, due, tre volte. Finchè ha dovuto smettere definitivamente. Il suo destino era questo. Oggi, a 36 anni compiuti, Kenny Zeigbo ha accettato il suo destino, da calciatore è diventato imprenditore e dopo tanti giri di corsa dietro il pallone ha scelto Mestre per vivere. Senza guardare troppo indietro. «Va bene così, il calcio comunque mi ha dato molto, anche se all'inizio speravo di più. Mi ha fatto conoscere il mondo, tanta gente - dice nel suo perfetto italiano - mi ha dato la possibilità di scegliere. E se tutto andrà bene nel giro di un paio d'anni potrò anche riunire la mia famiglia».
Ottimo calciatore, si diceva. Sono passati già 15 anni da quella sera di Vicenza-Legia Varsavia, Coppa delle Coppe. Al “Menti” lasciò tutti a bocca aperta con una super partita. Gianni Di Marzio, che di calcio ne capisce più di tutti – e non a caso ha scoperto un giovane argentino di nome Diego Armando – lo portò subito al Venezia. «Avevo cominciato in Nigeria, capii di poter fare carriera quando mi presero i Rangers di Enogu, la squadra più forte al mio Paese. In Polonia? Il Legia vide le videocassette di Osahon, notarono anche me e finimmo in Polonia tutti e due». Trovando parecchie difficoltà. «Poca organizzazione, Varsavia città molto bella ma io mi sono trovato quasi allo sbando. Senza contatti, senza capire una parola. Anche per mangiare, due settimane a pane e té, finché il manager non si arrabbiò». Giocava già in Nazionale, con Taribo West, Finidi George, Sunday Oliseh e Nwankwo Kanu, tanto per fare nomi. Poteva andare allo Sporting Gjion, arrivò in laguna. «Il problema della lingua l'ho avuto anche qui, prima degli infortuni» racconta «parlavo inglese e l'unico che capiva era Stefano Gioachini. Sì, sono sincero, con Novellino non c'era intesa, secondo lui il mio arrivo aveva causato la partenza di Cossato e questo non gli andava bene. I compagni? Non tutti mi hanno accolto bene, ma lasciamo stare il passato. Un ragazzo che con me è sempre stato sincero è Dal Canto, parlava sempre direttamente». Via da Venezia, deluso e demoralizzato, oltre che con un ginocchio in mano. «Negli Emirati Arabi sono stato bene ed ho anche guadagnato, lo sceicco padrone della squadra mi voleva bene. Mi diede una villa con piscina e fece arrivare la mia famiglia. Ma ero sempre sotto contratto con il Venezia e l'anno dopo mi ritrovai in Libia. E poi di nuovo in Italia». Altri giri, altri infortuni. «A L'Aquila, in una partita contro il Taranto di Riganò sono caduto male dopo una rovesciata: tre mesi di busto dopo la paura di restare paralizzato, e addio ai mondiali». Di nuovo in laguna. «Ho vissuto il passaggio tra Zamparini e Dal Cin, il famoso pulmino di Pergine, montavi che eri del Venezia e scendevi che eri del Palermo. Anche a Belluno ho giocato poco, in Sardegna invece sono stato benissimo, un ambiente stupendo, quattro anni e ancora tanti amici. Se ho un sogno, è quello di poter prendermi in futuro una casa in Sardegna». La casa ora è a Mestre. «Amo l'Italia, mi sento anche italiano, qualche mese fa per l'amichevole Italia-Nigeria sono stato felice del pareggio. Il razzismo? Ne ho trovato di più in Polonia. Esiste anche qui, ma il vero problema è l'ignoranza. Il razzismo ne è una conseguenza».
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