Folla da rockstar per Daverio: «Venezia è un cadavere può salvarla solo l’Europa»
VENEZIA. «Venezia è ormai un turistodromo, un cadavere con un numero di abitanti pari a un terzo delle sole prostitute che la abitavano nel Settecento. Una città a cui può ridare vita solo l’Europa, trasformandola nella terza captale dell’Unione europea, quella culturale, oggi assente. E Venezia è l’unica città che può ricoprire questo ruolo». Philippe Daverio non le manda a dire, anche a Venezia, che pure ama, riamato dai Veneziani, che lo hanno accolto ieri come una rockstar, stipando gli 800 posti del teatro Goldoni, dove il critico e storico dell’arte è stato chiamato ieri a tenere il secondo appuntamento con “I Dialoghi” della Fondazione Giancarlo Libabue, ora guidata dal figlio Inti che ne ha raccolto il testimone. “Venezia Madre dell’Arte - Sguardi antichi e moderni: istruzioni per l’uso” era il tema della conversazione, introdotta da Adriano Favaro. Per riuscirlo a sentire, per persone sono rimaste in coda a lungo fino in campo san Luca e in centinaia sono rimasti fuori.
Ma, com’è nel suo costume, Daverio ha spaziato a trecentossessanta gradi, da Canaletto a Carpaccio, da Music a Tancredi, dall’acqua alta alla Biennale, dalla Giuditta di Klimt conservata a Ca’ Pesaro al sindaco Luigi Brugnaro che voleva venderla. Ma senza trascurare anche Venezia e la sua sopravvivenza. «Venezia può essere salvata?» ha dichiarato Daverio «Dipende dalle scelte che si faranno nei prossimi dieci anni e che non dipendono più né dai veneziani, che sono ormai troppo pochi, né dal Governo italiano, troppo debole. Solo l’Europa può arrestarne il declino, “adottandola”, favorendone qui la conoscenza tra i popoli». Anche sull’onda turistica Daverio ha qualcosa da dire. «I turisti fanno tutti la stessa strada e arrivano a Venezia con le stesse informazioni, poche» ha spiegato «ed è su questo che si deve lavorare per distribuirli meglio nella città. Questa città ormai i veneziani la vivono con un misto di affetto e depressione, mentre molti dei turisti giornalieri la vivono come il luogo che giustifica la gondola di plastica che hanno appena acquistato in autostrada».
Ma l’inventore di “Passepartout”, programma di culto che la Rai ha inspiegabilmente abolito, non è tenero neanche con le istituzioni culturali della città. «La Biennale non serve a niente» è andato giù piatto «salvo a far felice qualche albergo veneziano nei giorni della vernice, e comunque non è più di Venezia. E la città si genuflette in forma sacerdotale di fronte al presidente Baratta, che ha ricevuto non si sa a che titolo questa delega pagata da noi contribuenti. Va un po’ meglio per i Musei Civici perché Gabriella Belli è un generale che ha già combattuto sul campo con successo parecchie battaglie. Ma non vedo un progetto, un’idea per il futuro di questa città».
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