Lo storico Isnenghi racconta: «La mia Italia dei conflitti»

Mario Isnenghi e le celebrazioni per i 150 anni d'Italia: alla ricerca di una stimabile storia
Il professor Mario Isnenghi, qui fotografato alla Camera dei Deputati
Il professor Mario Isnenghi, qui fotografato alla Camera dei Deputati
PADOVA. Dice Mario Isnenghi: «Sarà piena oralità». Ma saranno dieci incontri memorabili, da registrare, di sicuro, da trasformare in testo, che restino anche dopo. L'insigne storico parlerà a braccio, il che fa già capire quanta sia la distanza dalla possibile retorica.


Ma soprattutto metterà dentro queste dieci lezioni sulla storia d'Italia il compendio delle sue idee profonde, maturate in una vita di studi e, quel che più conta, percorse da una originalità che dà freschezza e soprattutto lega la storia al contemporaneo. «Centocinquanta, ma non li dimostra»: perfino il titolo viaggia sul filo dell'ironia, e dio solo sa se l'Italia ne ha bisogno. Più che rughe, malessere se non proprio malattia, per questo nostro Paese che dà perennemente l'idea di boccheggiare. Che sia la condizione politico-umana di noi italiani? «Divisi e uniti dentro uno stivale» recita il sottotitolo, che condensa la concezione di Isnenghi, indagatore di un Dna al di là dei fatti, delle emergenze, dei processi che hanno costruito la nostra storia. Gli incontri, il primo il 10 febbraio, si terranno a Venezia, metà all'Università Ca' Foscari, metà all'Ateneo Veneto.


C'è un incrocio di date che li rende speciali: i 150 anni dell'unità d'Italia coincidono con la "messa in quiescenza" del docente che a Ca' Foscari, dipartimento di storia, ha trascorso gli ultimi vent'anni. Quiescenza, più che brutta, è una parola sbagliata: ma quale riposo! «Mi muovo moltissimo - dice Isnenghi - E' un momento di particolare fervore». Lavora, parla, spiega, illumina anche controcorrente: come se la platea dagli studenti si fosse allargata a tutti quelli che vogliono ascoltare, fuori dall'Accademia, nel cuore di quella società che lui si diverte (sì, si diverte) a raccontare nei suoi passaggi del passato e del presente. Il particolare fervore, per esempio, vuol dire una storia d'Italia appena scritta per Laterza: 700 pagine già in bozze, che usciranno ad aprile. Una storia dal Risorgimento in poi, fino a oggi, possibile che nell'ultimo capitolo, supponiamo con piglio analitico, si parli anche di bunga bunga. Un libro in qualche modo diverso, che si intuisce lontano da un testo scolastico anche se è evidente l'ambizione di essere "la storia" visto che esce in pieno anniversario. Annuncia il sottotitolo: «Fatti e percezioni dal Risorgimento alla società dello spettacolo». «Arrivo a Bossi e Berlusconi», chiarisce il prof e chissà perché sorride. Ciclo e volume, par di intuire, non escludono punteggiature d'ironia: che è un modo di vedere la vita, oltre che la storia; e poi non è la regola aurea, quella di insegnare divertendo? Insegnare però cose serissime.


Mario Isnenghi parte da un principio: «Non voglio fare storia proseguendo con altri mezzi la lotta politica». E' il credo dello storico puro, la visione superiore, libera e per quanto possibile oggettiva. Vuol dire abbandonare le strade tracciate (da altri), vuol dire rifiutare la subordinazione a ideologie o forze politiche, liberarsi di gravami sociologici, tracciare una linea tra fatti accaduti e groviglio delle interpretazioni. Gli scappa, a Isnenghi, di definirsi «conservatore illuminato», un po' sorprendendo chi lo ascolta: è un conservatore che legge ogni giorno "il manifesto" e giureremmo che le sue passioni non si fermano all'amatissimo Ippolito Nievo, ma arrivano a coccolare - con rigore - tutta la storia della sinistra italiana del novecento. Diciamo che nel suo conservatorismo la luce è molto forte, quasi accecante. Ma, dicevamo, nel ciclo di incontri e in questa Storia per Laterza, il criterio è preciso e soprattutto originale: «Ripristino la centralità del conflitto: oggi è miserevole, ma è stato il sale della democrazia». Non è soltanto acclarare le divisioni degli italiani: è dare loro la dignità di motore della nostra storia, non impedimento e freno, ma humus del confronto, quindi della dinamica politica e sociale. E' un approccio nuovo e tutt'affatto diverso, decisamente controcorrente nel Paese del "volemose bene". «Macché riconciliazione», sbotta lo storico. E analizza ragioni e sentimenti «non irenicamente»: ma quale pace, se nei secoli c'è sempre stato qualcuno contro qualcun altro, le «coppie oppositive» come le definisce lui: patrioti e papalini, bersaglieri e briganti, laici e cattolici. Tutti figli dei guelfi e ghibellini che si sono spartiti l'Italia da mo', fino a dire che «i guelfi e i ghibellini siamo noi».


Ma, dentro questo criterio, c'è un valore profondo: il riconoscimento,la "presa in carico" di tutte le posizioni. Per il fatto che sono esistite, che esistono. Perché negare o subordinare qualcosa che è accaduto? Una cosa è impossibile: cancellare i fatti. Sono "fatti" anche le memorie, le interpretazioni e le politiche della memoria ad uso del presente, ma lo sono prima di tutto gli avvenimenti effettivi. Cercare di guardarli a occhio nudo è appunto «fare storia senza proseguire la lotta politica con altri mezzi». Sottotraccia, ma neppure tanto, c'è la volontà di dare esatta coscienza all'Italia della propria storia. Proprio basandosi sui fatti, e non sulla retorica, può esserne fiera. Il Risorgimento è cominciato così, con l'Europa stupefatta per quel "popolo di morti" che si risvegliava. Altre tappe, anche dolorose, via via nei decenni. Ma sempre dentro i confini della dignità: compresa, tanto per dire, anche la Repubblica sociale. Anche quella, storia di italiani divisi: che bisogna guardare in faccia, senza voltarsi dall'altra parte. Insomma, l'Italia ha avuto il suo percorso, che non è peggiore di quello di altri Paesi. Con un tratto caratteriale: «Noi italiani siamo capaci di agire in termini di tragedia, ma non di ricordarcele come tali». D'accordo, c'è il luogo comune della pizza e mandolino, c'è un premier che racconta barzellette e magari non il resto, ma rileggendo la nostra storia dovremmo avere una maggiore autostima. Non è affatto una storia piccola e meschina. Isnenghi è qui per cercare di convincerci.

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