Venezia, nel sottosuolo di San Marco «gatoli» e pezzi di campanile
VENEZIA. L’antico reticolo dei gatoli portato alla luce, i cunicoli ripuliti dal fango e dalle incrostazioni. E dal sottosuolo emergono reperti interessanti, come pannelli di marmo recuperati dopo il crollo del campanile di San Marco del 1902. Prende forma il lavoro di restauro della Basilica, per isolare il nartece e gli ingressi dalle maree medio alte fino a 80-90 centimetri sul medio mare.
L’impresa Renzo Rossi, con la direzione dei lavori di Thetis (Francesco Lanza) e dal Provveditorato alle Opere pubbliche, ha portato a termina il primo atto dell’intervento di restauro. Un centinaio di metri lineari sotto la parte Nord della Basilica, dalla porta dei Fiori all’angolo di piazzetta dei leoncini. Lo scavo fino a una quota di un metro sotto la pavimentazione, produce le prime sorprese. Con il rinvenimento di lastre in marmo e pietra d’Istria utilizzate durante i restauri del primo Novecento e «recuperate» come si faceva allora dalla macerie dopo il crollo del campanile, nel 1902.
La costruzione della rete di scarico delle acque, piovane e di marea, risale a molti secoli fa. «Una tecnica eccezionale», dice con ammirazione il geometra Antonio Nardin, della direzione lavori di Thetis, «materiali tenuti insieme da pietra e sabbia, con l’ausilio di calce, ma senza l’impiego di mattoni o di nuovi materiali come il cemento».
Un impianto che ha resistito per secoli, ma che adesso mostra i segni del tempo. Quantità consistenti di fango e detriti sono già stati scavati dal fondo dei gatoli, che adesso sono stati ripuliti a mano, pronti per tornare a svolgere il loro antico e importante compito. Le pietre di protezione saranno tolte e numerate, come si è fatto con i masegni, che si vedono adesso accatastati sulla ringhiera di protezione. Lavoro condotto insieme alla Soprintendenza e agli archeologi, che anche ieri hanno compiuto un sopralluogo per verificare la situazione del cantiere. Controlli che ci si augura siano estesi anche ad altre aree della città.
Nel cantiere aperto a lato della Basilica sono adesso ben visibili gli scarichi delle acque piovane collegati con le tubazioni che vanno verso la Piazza e poi in laguna. Il progetto prevede di riattivare questa rete dimenticata, e alla fine di posizionare i «tappi in gomma sugli scarichi per impedire il flusso della marea. Il nartece, la parte più antica della Basilica e più bassa della città, 68 centimetri sul medio mare, dovrebbe così restare all’asciutto fino a una quota di marea di 80-90 centimetri.
Tra pietre e scarichi si vedono anche i resti del geotessuto aggiunto in tempi recenti per tenere insieme i vari materiali facendo però passare l’acqua.
Adesso a partire da lunedì sarà avviata anche la seconda fase del cantiere, verso al porta della Carta e il palazzo Ducale. Lì sarà costruito nel sottosuolo un vascone di tre metri per due metri e mezzo. Servirà per raccogliere le acque in caso di necessità, forti piogge e alte maree insieme, con l’ausilio di piccole pompe elettromeccaniche.
Mentre gli operai lavorano i turisti si accalcano sulle grate in ferro, incuriositi da un lavoro che interessa la Basilica più famosa del mondo. Sistemi di sorveglianza, con telecamere e sorveglianza 24 ore su 24, garantiscono la sicurezza del cantiere. «Dovremmo essere in grado ci concludere il lavoro per la fine di giugno», dice Nardin. Per far questo, l’impresa lavora anche di notte per il trasporto dei materiali.
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