Uno scheletro a Torcello, l’isola museo a cielo aperto svela i suoi tesori
TORCELLO. Un museo a cielo aperto. Che racconta per immagini e ritrovamenti la storia antica di Venezia attraverso gli scavi archeologici. Non è più uno slogan quello di «Torcello abitata». E ieri nell’isola dove si ritrovano le origini della civiltà lagunare lo hanno annunciato insieme le Soprintendenze e l’Università Ca’ Foscari. «Archeologia partecipata» e aperitivi archeologici che hanno raccolto un grande successo di pubblico a bordo degli scavi avviati dagli studenti coordinati dal professor Diego Calaon.
Si parte dagli eccezionali ritrovamenti del cantiere. Come lo scheletro di uomo risalente all’VIII secolo. E poi le antiche rive, a ridosso della Basilica, dove attraccavano le navi provenienti dal mare Adriatico per trasbordare le merci in barche più piccole, adatte ai fondali lagunari, dirette al vicino porto di Altino. E infine oggetti, anfore, iscrizioni, marmi. Travi e fondazioni di case e magazzini che allora erano stati trasferiti per ragioni ambientali dall’entroterra a Torcello. «Occasione per creare lavoro per i giovani», dice la soprintendente Emanuela Carpani, «certo il progetto di museo diffuso dovrà essere sostenibile. Occorrono risorse, per valorizzare i ritrovamenti e gestire le visite. Tutti vengono a tagliare i nastri, ma poi la manutenzione è la cosa più difficile, e spesso siamo soli». Esclusa la possibilità di «vendere» i pezzi, come si fa in altri luoghi. Occorre però pensare a una collaborazione con i privati.
«All’estero ad esempio si scrive sulla scheda il nome dello sponsor, invece del numero del ritrovamento», dice Calaon. Daniele Ferrara, direttore del Polo museale veneziano e dei 25 musei della regione, oltre a Trento e Bolzano, insiste a sua volta sul concetto dell’indotto economico. «Il museo non può avere un recinto, deve essere legato al territorio», dice, «in questo modo si incoraggiano anche attività economiche collegate. E per catalogare e valorizzare i reperti che sono in magazzino è importante il contributo dei giovani laureati». Una ventina di loro, specializzati in archeologia, sono l’esempio vivente di come si possa passare dalla teoria alla pratica. Da metà luglio stanno scavando nei tre siti di proprietà comunale a fianco della Basilica. E le soddisfazioni arrivano. «Abbiamo avuto molti riscontri positivi», dice entusiasta Marco Paladini, responsabile della comunicazione, «è fatica, ma viene ricompensata»,.
La luce di ottobre illumina un panorama splendido. Riflessi dorati sulle acque della laguna e sui mattoni e il campanile a pianta quadrata della basilica di Santa Maria Assunta. Gli archeologi spiegano ai visitatori le ultime scoperte. «Qui era il porto tardomedievale della città di Altino», dice il direttore Ferrara, «sono luoghi abbastanza vicini. Dove un visitatore oggi può rivivere la storia delle origini». Un nuovo turismo culturale e archeologico, modello molto diverso da turismo di massa che invade Venezia. «Di quello non ne possiamo più», sbotta il consigliere comunale Maurizio Crovato. «Questo è un progetto che deve andare avanti. Lo dedichiamo a Bruno Rosada ed Ernesto Canal, pionieri dell’archeologia veneziana».
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