«Un pazzo, forse un militare non italiano»
JESOLO. «Un pazzo, forse proveniente dall'ambiente militare non italiano di stanza nel Nordest». A tracciare l'identikit di Unabomber, il criminale seriale che ha terrorizzato con i suoi ordigni Friuli e Veneto per 12 anni dal 1994 in poi, è l'ingegner Elvo Zornitta, principale indagato nelle indagini sul bombarolo rimasto ancora avvolto da un inquietante mistero destinato a restare uno dei più clamorosi d'Italia. Zornitta è comparso ieri in una video intervista di Francesco Macaluso, collaboratore della Nuova Venezia, al convegno organizzato dalla mostra "Serial killer, dalla vittima al carnefice" in piazza Brescia a Jesolo. Ha moderato il giornalista investigativo Fabio Sanvitale, alla presenza del difensore dell'ingegnere Zornitta, l'avvocato Maurizio Paniz, e dell'ex procuratore capo di Venezia, Vittorio Borraccetti, che diede un importante contributo a costruire l'impianto accusatorio nel processo. I due protagonisti, su fronti diversi, dell'inchiesta hanno iniziato un dialogo cortese e rispettoso poi esploso in uno scontro quando si è toccato l'argomento del poliziotto Ezio Zernar, condannato per l'alterazione delle prove, accusato di aver tagliato una parte infinitesimale di un lamierino in ottone trovato in un ordigno inesploso per incastrare Zornitta. Lo scontro sugli atti processuali è stato inevitabile, quando Paniz ha sostenuto che fu addirittura sostituita una forbice dell'ingegnere, circostanza ritenuta inaccettabile per Borraccetti che a un certo punto ha minacciato di andarsene.
La tensione si è alzata in platea, mentre è stata proiettata la verità di Zornitta ritratto nel salone di casa. «Un mio ex collaboratore mi segnalò», ricorda, «forse per vendetta e per sciocchezze accadute nel posto di lavoro 20 anni fa. Sono ingegnere aeronautico, laureato al Politecnico di Torino. Ho lavorato alla Oto Melara di La Spezia, che fabbricava carri armati e cannoni, ma mi occupavo di ricerca a livello teorico con particolare attenzione alle blindature. In gioventù ho realizzato per gioco petardi con la polvere pirica, tutto qui. In questi anni mi sono fatto l'idea di Unabomber come un “matto lucido” che poteva agire per vendette personali o per allertare una determinata e circoscritta zona d'Italia. Io ho una figlia, all'epoca bambina, solo una persona con profonde turbe potrebbe agire in quel modo sapendo che i bersagli potrebbero essere bambini come la propria figlia che a sua volta potrebbe essere vittima di questi ordigni. È quello che ho sempre cercato di far comprendere agli inquirenti. Allora doveva trattarsi magari di una persona che ha dimestichezza con gli esplosivi, ordigni rudimentali, inizialmente con la polvere pirica per arrivare alla nitroglicerina. Mi chiedo perché non si sia indagato sui fornitori di questo materiale che non sono molti. Io penso a una persona che non ha legami affettivi qui e che può avere anche a che fare con le forze militari non italiane di stanza sul territorio».
Il segretario nazionale del sindacato di polizia Coisp, Franco Maccari: «Io non ho partecipato a un simile siparietto morboso». C'era poi il giornalista del Messaggero edizione di Pordenone, Antonio Bacci, che ha seguito il caso. «Il giornalista ha chiesto perché le indagini non siano proseguite», aggiunge Maccari, «e questa è la vera domanda. Se il processo fosse stato spostato di competenza a un'altra Procura e non si fosse concentrato a Venezia le cose sarebbero andate diversamente. A Zornitta è andata bene. Zernar era un poliziotto esperto, aveva lavorato anche nella strage di via D'Amelio. Io rispetto le sentenze, ma siamo nell'ordine di un paio di micron e non ci si doveva fermare a questo, a un solo elemento, una sola falla in tutto un processo con tanto lavoro alle spalle e milioni spesi».
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