Si è spento Limentani, internato a Dachau
VENEZIA. Tutti lo chiamavano «il veneziano», i più vicini «zì Mario». Per la storia resterà per sempre Mario Limentani, uno degli ultimi testimoni dell'inferno della Shoah, sopravvissuto ai campi di Dachau e Mauthausen. Si è spento domenica mattina, a 91 anni, portando con sé il ricordo di quegli anni bui che tante volte ha raccontato agli studenti durante i viaggi della Memoria.
Nato a Venezia il 18 luglio 1923, Limentani si trasferì giovanissimo a Roma, proprio in concomitanza con l'emanazione delle leggi razziali. Scampato una prima volta al rastrellamento dei nazisti nel ghetto ebraico, fu poi arrestato dai fascisti nei pressi della stazione Termini e rinchiuso nel carcere di Regina Coeli. «Il 4 gennaio», raccontava sempre ai ragazzi durante i convegni e i viaggi in Austria e Germania, «alle quattro e mezza di mattina ci diedero la sveglia, ci incatenarono cinque per cinque e ci portarono alla Stazione Tiburtina». Da quei binari partì il drammatico viaggio prima verso Dachau e poi verso Mauthausen.
I giorni trascorsi nel lager sono impressi nero su bianco nel libro di Grazia Di Veroli «La scala della morte. Mario Limentani da Venezia a Roma, via Mauthausen». Il riferimento è a quei 186 gradini che ogni giorno i detenuti erano costretti a salire e scendere più volte con enormi massi di granito sulle spalle. Molti, privi di forze, precipitavano nel burrone che costeggiava la cava: ne morivano 200-250 al giorno. L'inferno di Limentani continuò prima nel sottocampo di Melk e poi in quello di Ebensee, sempre costantemente con la vita appesa ad un filo. Il 5 maggio del 1944 il campo venne liberato dagli americani ed il 27 giugno finalmente il numero 42.230 - così era stato «catalogato» dai nazisti - fece ritorno a casa. Ai familiari anche il messaggio di cordoglio del presidente Napolitano.
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