Saverio De Martino in carcere a Venezia
Gli agenti hanno suonato il campanello di casa De Martino alle 5.30 di ieri mattina, per eseguire l’ordinanza di custodia cautelare del Tribunale di Catanzaro: l’imprenditore immobiliare Saverio De Martino - 71 anni, originario di Lamezia Terme e da vent’anni trapiantato al Lido - è così finito in carcere a Santa Maria Maggiore. Nei giorni scorsi è stato condannato dallo stesso Tribunale calabrese a 8 anni di reclusione (con rito abbreviato e, dunque, usufruendo di uno sconto di pena) per concorso esterno in associazione mafiosa, nell’ambito del processo alle cosche ’ndranghetiste Iannazzo-Cannizzaro-Dapote, che tra estorsioni, omicidi, intimidazioni si sono garantite «la gestione o comunque il controllo di attività economiche, concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici» nell’area di Lamezia Terme, come si legge nel capo d’imputazione che ha portato a 33 condanne (tra cui tre ergastoli) pronunciate nei giorni scorsi dal Tribunale calabrese.
Nel maggio del 2015, Saverio De Martino era già stato arrestato, accusato da due collaboratori di giustizia di essere l’uomo di riferimento in Veneto della famiglia Iannazzo. Angelo Torcasio e Giuseppe Giampà avevano parlato di uno stretto rapporto tra l’imprenditore e Vincenzino Iannazzo, raccontando di investimenti della cosca a Venezia per tramite dell'imprenditore da decenni residente al Lido, con attività nel campo dell'edilizia, un'agenzia immobiliare e (allora) la gestione delle spiagge dell'Excelsior insieme al figlio Antonio. Avevano riportato anche le confidenze di un altro mafioso, Antonio Provenzano, che di De Martino avrebbe detto: «Si puliva, cercava di infilarsi nella politica, diceva che il sindaco di Venezia era vicino a loro, per tutti questi grossi appalti che prendeva a Venezia».
All’epoca, i giudici del Riesame avevano però annullato il provvedimento cautelare - accogliendo il ricorso degli avvocati difensori Francesco Gambardella e Renato Alberini - sostenendo si trattasse di accuse vaghe. I rapporti con Iannazzo - per i giudici del Riesame - si giustificavano anche «per la necessità di essere salvaguardato da eventuali ritorsioni da parte della famiglia Giampà per l'uccisione avvenuta nel 1992 del ventenne Giuseppe», ucciso per un incidente dal figlio di De Martino, maneggiando incautamente una pistola. Ma nei giorni scorsi è arrivata la condanna in primo grado e il giudice Antonio Battaglia ha firmato anche la contestuale custodia cautelare in carcere, adombrando per il pericolo di fuga, dal momento che «gli imputati sono stati condannati a pene molto elevate che vanno dall’ergastolo agli 8 anni (...) probabile che ove rimangano in stato di libertà possano darsi alla fuga, considerando che sono inseriti nell’organizzazione di tipo ’ndranghetista lamentina che dispone di risorse, uomini, basi logistiche per garantire la fuga dei sodali». «È una vicenda surreale», commenta l’avvocato Renato Alberini, che annuncia ricorso contro l’ordinanza di custodia, «perché si trattano allo stesso modo persone condannate a 8 anni o all’ergastolo. Saverio De Martino è un uomo incensurato, nel corso delle indagini i giudici del Riesame hanno riconosciuto che nelle sue conoscenze con la famiglia Iannazzo non c’erano risvolti penalmente rilevanti. È un uomo di 71 anni che soffre di apnee notturne e dorme con una mascherina per respirare: non c’è alcun pericolo di fuga. Ricordando poi che siamo solo al primo grado di giudizio e siamo convinti di dimostrare l’insussistenza delle accuse. Incredibilmente, nonostante tutto, è sereno e convinto che la giustizia dimostrerà la sua innocenza».
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