Ritirata la certificazione "kasher", l'Hostaria del Ghetto ricorre al giudice

VENEZIA. Toccherà a un giudice del Tribunale di Venezia stabilire se l’Hostaria del Ghetto, quella a fianco della Casa israelitica di riposo che usufruisce anche del Giardino dei melograni con l’entrata in campo del Ghetto Novo, offre una cucina “kasherut”, cioè secondo le regole alimentari ebraiche dettate dalla Torah (il libro sacro).
A rivolgersi al Tribunale lagunarecon un ricorso d’urgenza è stato il titolare del ristorante, Carlos Alberto Skaladanowski, con l’avvocato Paolo Bettiol, dopo che il rabbino capo di Venezia Benjamin Ghil ha tolto la certificazione di kasherut alla cucina del ristorante e la Comunità ebraica veneziana ne ha dato notizia affiggendo per tutto il Ghetto manifesti in cui si legge che l’Hostaria del Ghetto non ha più la certificazione e quindi la sua cucina «non è kasherut». La firma è quella del rabbino capo ma su carta intestata della Comunità ebraica veneziana. Da notare che all’entrata del locale ci sono due targhe, nella prima c’è scritto che ci si trova di fronte a una “Kasher House” e nell’altra che si tratta di un “Kasher Restaurant” con “Jewish-italian cusine”.
«Naturalmente non chiediamo che il magistrato si esprima sul fatto se la cucina del locale in questione rispetti le regole dell’alimentazione ebraica», spiega l’avvocato Bettiol, «bensì che disponga in via d’ugenza la rimozione dei manifesti con la scritta che non si tratta di cucina kasherut perché è un’affermazione che porta discredito e che procura un danno». Non sono pochi, in particolare i turisti soprattutto statunitensi, che cercano ristoranti che rispettino le regole religiose e quel cartello, stando al legale, avrebbe già causato un danno economico o comunque potrebbe provocarlo.
Ieri, davanti al giudice Luca Boccuni, si è costituita la Comunità ebraica con l’avvocatto Agnese Gemin, la quale ha prodotto una memoria. Il giudice ha rinviato l’udienza all’8 novembre per dar tempo alle parti di studiare la documentazione. Per l’avvocato Gemin, comunque, la questione non è di competenza della magistratura, trattandosi di una questione religiosa: se la cucina sia kasherut o meno, infatti, è il rabbino a certificarlo e un giudice non può entrare nel merito della questione. Inoltre, dai dati economici presentati dallo stesso titolare del ristorante risulterebbe che l’incassi è sì diminuito, ma i clienti nel loro numero sono aumentati e quindi l’avviso che non si tratta di una ristorante che segue le regole ebraiche non avrebbe comportato alcun danno.
La causa giudiziaria tra il titolare dell’Hostaria del Ghetto da una parte e il rabbino e la Comunità ebraica dall’altra in realtà nasconde uno scontro che ormai si trascina da anni, è quello tra la Comunità ebraica veneziana e gli esponenti della setta ortodossa dei Lubavitch, che ormai ha preso piede da tempo anche nel Ghetto veneziano. Si tratta di un esteso movimento religioso del “giudaismo chassidico” che ha il suo punto di forza soprattutto negli Stati Uniti e che si è esteso anche in Europa, ma la maggioranza degli ebrei veneziani non solo non hanno aderito, ma criticano duramente l’ortodossia della setta. Il titolare dell’Hostaria del Ghetto, che è in parte in affitto dalla Comunità, visto che il ristorante si trova nell’edificio della Casa di riposo ebraica, da qualche tempo è passato con i Lubavitch.
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