La verità di Basile, prestanome del boss Luciano Donadio
ERACLEA. «Ad Eraclea non c’era il volto mimetico della mafia tipico della penetrazione economica al Nord, dove spesso cerca affari e soci senza destare allarme sociale. Sono denunciate intimidazioni, violenze, estorsioni: le manifestazioni più crude e storiche e anche più riconoscibili dal tessuto sociale: non si può dire ora “non avevo capito a chi mi rivolgevo”».
A parlare è il senatore del M5s Giovanni Endrizzi, membrod ella commissione bicamerale antimafia, che torna sul tema del mancato commissariamento del comune di Eraclea, chiesto dal prefetto Zappalorto, ma negato dalla ministra dell’Interno Lamorgese: «Per questo», conclude il senatore, «mi chiedo quale forza avrebbe dato ai cittadini lo scioglimento del comune e la costituzione di parte civile di altre amministrazioni come Caorle o Jesolo e San Donà dove – emerge dal processo – il clan aveva rapporti».
Intanto, mentre davanti alla giudice Michela Rizzi si è alle battute finali del processo agli imputati del “clan dei casalesi di Eraclea” che hanno scelto il rito abbreviato, in aula bunker prosegue quello degli imputati che hanno scelto il rito ordinario – Luciano Donadio, compreso – davanti al Tribunale presieduto da Stefano Manduzio.
Nuova raffica di testimonianze di coimputati, in un’udienza – però – senza gran colpi di scena. In particolare il lungo interrogatorio di Antonio Basile, 60enne napoletano con residenza a Mestre, accusato di aver fatto da prestanome per alcune società di Donadio, ma che ora – racconta – ha cambiato vita, con una propria azienda in campo edile. Conoscenza da “compaesani”, poi debitore ad usura, infine, prestanome: è questa la storia che contesta – nella sostanza – i pm Terzo e Baccaglini. Lui tende a sminuire.
«Ci siamo incontrati a Eraclea nel 2003-2004: è anche mio paesano, sapevo che aveva tanti lavori di costruzioni, io ho muratori e carpentieri, così ci siamo frequentati», dice Basile in aula, «abitavamo nella stessa via. Io al nord sono venuto nel 2000, lavoravo sempre nel campo dell’edilizia costruzioni: al Laguna Palace per i fratelli Danieli». Solo rapporti di buon vicinato? Non proprio. Soldi prestati da Donadio in un momento di difficoltà – 8-10 mila euro con tassi del 3-5 per cento al mese e saldati con assegni postdatati – per tramite di un comune conoscente. La Procura contesta a Basile il ruolo di prestanome di Donadio nel vortice di società a lui intestate: Donadio costruzioni scarl, poi Basile costruzioni scarl, poi Mascali, «mi è stata data da Donadio, lui aveva tanti lavori, non ho mai percepito un documento, ho firmato solo davanti al notaio. Quando Donadio mi ha offerto questa società, mi ha detto non ti preoccupare e non mi sono mai interessato». Funzionava davvero così? Intanto spunta anche un’arma: «Sì, dato un’arma a Donadio, ma senza caricatore, sapevo che faceva collezione di armi». —
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