Il grande incubo della città fragile accelerato dai cambiamenti climatici
VENEZIA. Nel cuore della notte, quando finalmente l’acqua si ritira e se ne va - lentamente - in mare, se ne va di colpo anche il Grande incubo. Troppe sono le analogie con l’alluvione del 4 Novembre 1966, e con l’Aqua granda che sommerse tutto, arrivando allora al massimo storico. 194 centimetri sul medio mare.
Pomeriggio sera di lunedì, Venezia è stata ferita da due acque alte eccezionali. 156 centimetri e 148 in meno di sei ore. Un ciclo saltato, la minima a 120. L’acqua che non cala, le onde e le raffiche, il terrore degli abitanti del litorale, i ricordi ancora ben vivi dei più anziani. E la paura che lo scirocco potesse dare il “colpo definitivo”, con la nuova marea crescente. In mare onde alte cinque metri, raffiche di scirocco a 40 nodi.
Riva Schiavoni sferzata dal vento e dalla mareggiata. Piazza San Marco sommersa da un metro d’acqua, i pavimenti della Basilica a mollo, le isole di nuovo nella paura. Immagini che tornano alla memoria. I meno giovani se le ricordano nitide. L’acqua che non cala, il silenzio irreale. La città rimasta senza luce e senza telefoni, senza radio e tv, perché allora le centraline erano tutte a livello dell’acqua. La nafta nei canali, i danni alle opere d’arte e alle quattromila famiglie che abitavano allora i malsani piani terra.
52 anni dopo, lo scenario è molto diverso. Le difese a mare non sono quelle del 1966. I Murazzi sono stati rinforzati. Anche se le onde dell’altra sera facevano temere di nuovo per il mare in laguna. La nafta non c’è più e i piani terra sono quasi tutti isolati. Ma oltre una certa quota le difese locali non bastano più. Addio passerelle, addio pompe idrauliche e chiusure davanti ai negozi. Ieri mattina, svegliatasi senz’acqua e con un raggio di sole, la città mostrava le sue ferite, soprattutto nelle parti più basse sul medio mare: Cannaregio e Mercerie, via Garibaldi, i Tre Archi. E poi Pellestrina e Burano. Ma anche la voglia di ripartire.
Quali le cause di un evento così estremo e così pericoloso? «La sommatoria di venti di scirocco che in Adriatico soffiavano da due giorni, bassa pressione e maltempo», spiega Paolo Canestrelli, fondatore del Centro maree. «In condizioni estreme come queste», spiega Canestrelli, «la marea non rispetta i valori astronomici. Significa che saltano i meccanismi secolari per cui, dopo sei ore, l’acqua cresce o cala. Il contributo atmosferico di lunedì pomeriggio è stato nell’ordine di 130 centimetri, tantissimo. E al momento di vedere l’uscita in mare della marea, l’Adriatico gonfiato dallo scirocco non riceveva. Ed ecco quindi la nuova marea crescente».
C’è chi invoca il Mose. «Avete capito adesso a cosa serviva?», ripete il sindaco Brugnaro, in stivali a controllare la Piazza. Arrigo Cipriani ha un pensiero opposto: dà la colpa alla “tempesta perfetta” e ricorda come molti interventi di scavo e imbonimento, cominciati negli anni Settanta, abbiano trasformato per sempre la laguna rendendola ancora più fragile e indifesa. «Venezia fino a quando», scriveva nel suo celebre libro il giornalista e scrittore Giulio Obici all’indomani della tragedia. Gli scavi dei canali, le grandi navi, le correnti modificate. Le risorse dirottate sul Mose, macchinario dal difficile funzionamento e non utilizzati abbastanza per gli interventi di difesa locale e la manutenzione.
La città riflette sulla sua natura di “mondo fragile”. Nel 1966 I giornali titolavano «Cento morti nel Triveneto», frane, smottamenti, paesi distrutti. Venezia era stata sfregiata. Ma non c’erano state vittime. E alla fine si era risollevata. La tragedia era servita ad accendere i fari dell’opinione pubblica internazionale sulla necessità di salvarla insieme alle sue opere d’arte. Storica la foto di Ted Kennedy sui Murazzi spazzati dallo scirocco, insieme al sindaco Favaretto Fisca. Lì era nata la Legge speciale, insieme ai Comitati privati per la salvaguardia.
Potrebbe succedere di nuovo? Eventi come quelli del 1966 sono previsti «una volta al secolo». In realtà un’accelerazione dei fenomeni è ben visibile, anche per i mutamenti climatici in atto. Così acque alte eccezionali si ricordano di recente nel 1996, con la “serie nera” di novembre e dicembre, nel 2008, nel 2012. Adesso nel 2018, con il quarto valore di sempre. Rispetto ad allora ci sono le sirene, che avvisano delle maree. Con il sistema “tonale” introdotto qualche anno fa proprio da Canestrelli. Il cambio del tono avvisa della quota esatta. Un suono 110, due 120, tre 130, quattro 140 e oltre. Sito Internet, messaggi e Centro operativo per le previsioni - creato negli anni Settanta - è operativo 24 ore su 24. La città è quindi preparata ad eventi estremi. E sa che, a differenza delle alluvioni in terraferma, «l’acqua prima o poi si ritira».
Conviene ricordare il progetto e gli studi di un mai dimenticato giovane studioso di laguna, Marino Potenza. “Quando il mare era più lontano”, il titolo del suo libro che risale agli anni Ottanta, più di 30 anni fa. L’idea era quella di ricreare le condizioni antiche, allontanando il mare con un nuovo canale di accesso alla laguna, come era nell’antichità. Non l’hanno mai ascoltato. Anzi, da allora il mare è arrivato sempre più dentro la laguna, e sempre più velocemente. —
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia