I primi “marines” della storia erano i Caimani del Piave
VENEZIA. Tracce di un campo di battaglia, il profilo di una trincea, brandelli di divise, il ferro arrugginito di un aereo, il relitto di una nave. È la storia che diventa archeologia, così in terra come nel mare, ma anche lungo le rive del Piave dove, cento anni fa, con il coltello tra i denti, si muovevano come alligatori i primi marines del mondo, noti come i “caimani del Piave”, corpo specializzato subacqueo d’assalto che colpiva e affondava le barche dei nemici. La Grande Guerra è soprattutto questo: la custodia dei cimeli per salvare la memoria.
I quattro appuntamenti (più uno) organizzati dell’Archeoclub veneziano per la XIV edizione di “Archeologia, ricerche e scoperte nel Triveneto e nell’Alto Adige” - dal 14 al 28 marzo, tutti alla Querini Stampalia, tutti con inizio alle 16 - illumineranno i ritrovamenti fortunati, quelli resi possibili anche grazie a tecniche molto sofisticate come la ricerca subacquea “Lidar batimetrico” che consente di fotografare il fondale come se non ci fosse di mezzo un muro d’acqua.
Il ciclo di incontri, come hanno spiegato ieri presentando la rassegna Gerolamo Fazzini, presidente veneziano e consigliere nazionale di Archeoclub, e Luigi Fozzati già Soprintendente per i Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia, a cento anni da Caporetto restituisce interessantissimi brandelli di storia. Come quella dei quaranta relitti che giacciono sul fondale davanti a Venezia, raccontati nel libro “I relitti del Golfo di Venezia” (il 16 marzo) o le scritture parietali del Lazzaretto Nuovo (il 28) raccolti in un volume che contiene la schedatura organica dell’intero corpus delle scritte cinque-seicentesche conservate nel Tezon Grande. (m.pi.)
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