Gli archeosub dell’università di Ca’ Foscari su due relitti veneziani
di Paolo Coltro
VENEZIA. A 43 metri di profondità, sott’acqua, si può lavorare per 18 minuti: Carlo Beltrame, docente di archeologia marittina a Ca’ Foscari, e i suoi studenti, hanno fatto il rilievo di un relitto a furia di immersioni, una, due, dieci, ma adesso di quella nave tonda veneziana sappiamo molto, se non tutto. Era partita da Costantinopoli e aveva risalito l’Adriatico con un carico prezioso e affascinante per l’Europa continentale che cercava l’Oriente: ceramiche turche di Iznik, piatti bellissimi decorati come l’ oltralpe poteva solo sognarselo. Dicono gli esperti dopo il recupero: la miglior collezione oggi esistente fuori di Istanbul. Presenti anche ceramiche venete. I veneziani del Dipartimento Studi umanistici, chiamati dai colleghi croati di Zagabria, hanno analizzato il relitto per quanto possibile: una parte è ancora conficcata nella sabbia, ma intanto molto si può capire. La nave da carico era lunga 24 metri, e aveva un doppio fasciame esterno, cosa insolita che significa che anche i veneziani avevano imparato a far navi solide, un po’ come quelle olandesi per i viaggi nelle Indie Orientali. Siamo nell’ultimo quarto del XVI secolo: dal relitto è stata recuperata la campana, manufatto interessantissimo e ben conservato, con la data incisa: 1567. Trovate anche monete turche che si possono datare dopo il 1574, quindi il naufragio è avvenuto dopo tale data. Era un mercante veneziano a tre quarti del suo viaggio, e davanti all’isola di Meleda (Mljet in croato) era incappato in quel maledetto scoglio di San Paolo, pericolosissimo da sempre. Si chiama così perché la leggenda vuole che anche san Paolo, non assistito dalla provvidenza, abbia fatto naufragio lì. La nave corre incontro allo scoglio che affiora a pelo d’acqua, se ne accorgono, lanciano un’ancora in corsa per frenarla, non serve: a duecento metri dalla riva la cocca cozza e affonda, scivolando lungo un ripido pendio fino a 43 metri di profondità. Niente scheletri tra il fasciame, è possibile che l’equipaggio ce l’abbia fatta a buttarsi in acqua e raggiungere la riva. C’erano però ossa di maiale, il che fa pensare che la ciurma non fosse musulmana. Nave veneziana, insomma: fatto indubitabilmente testimoniato anche dai cannoni, del tipo di quelli fusi in Arsenale, uno anche con le iniziali del fonditore Tommaso di Conti, famoso all’epoca. Insomma, un bel ritrovamento, dovuto al subacqueo croato Jurica Bezak, che oggi sarà al convegno organizzato a Venezia. Un relitto mai toccato prima, nemmeno dai tombaroli del mare, per il semplice fatto che si trova in una zona militare, quindi vietata e controllatissima. Al di là delle particolarità strettamente navali, che aggiungono dati alle tecniche veneziane, la nave tonda racconta di commerci e costumi, economia e viaggi. E racconta anche di una bella collaborazione tra Ca’ Foscari e il dipartimento di Archeologia subacquea, nonché l’Istituto per il restauro, di Zagabria, dipendenti dal Ministero della Cultura croato. Che sono andati a braccetto anche per un altro importante rilievo: quello sul relitto di una nave dell’XI secolo, che per comodità viene definita bizantina, ma che quasi certamente era veneziana. XI secolo vuol dire dopo il Mille: quando già venezia esercitava un forte controllo sui traffici lungo l’Adriatico. Anche in questo caso pochi pezzi di legno raccontano molto di più di quel che significano. Si frega le mani Sauro Gelichi, ordinario di archeologia medievale a Ca’ Foscari, che queste due missioni ha seguito fin dall’inizio, anche se lui non va sott’acqua e resta con i piedi per terra. Quei pochi resti della nave affondata sempre vicino a Meleda, ma dall’altra parte, verso costa, raccontano in una manciata di metri quadrati del crescente potere commerciale di Venezia, del suo distacco programmato da Bisanzio, della sua autonomia e anche delle sue nascenti scelte commerciali: nella pancia della nave erano trasportati bellissimi vetri di fattura palestinese. Da vendere, sicuramente, o magari da far vedere a Murano... Per il resto, un gran carico di anfore, a quanto sembra vinarie, provenienti dalla regione del Mar Nero. E sarà un momento emozionante, tra qualche giorno, quando alcune di queste anfore, ancora tappate, verranno aperte all’Istituto del Restauro di Zagabria. Dice Carlo Beltrame: «Magari non troveremo niente, ma sicuramente potremo analizzare le tracce rimaste». I risultati di queste due missioni verranno presentati oggi in un convegno che si terrà dalle 9.30 nella sede di Palazzo Malcanton Marcorà dell'Università Ca' Foscari di Venezia. Le due missioni sono state finanziate dalla Regione Veneto, Relazioni Internazionali, che finanzierà anche un volume. E si pensa ad una mostra delle splendide ceramiche recuperate.
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