Gli albergatori fanno i camerieri e servono il pranzo alle detenute
GIUDECCA. Una giornata speciale per le ottanta detenute e per i sei bambini che vivono dentro le mura del carcere della Giudecca con le loro madri, ma anche per i vertici dell’Associazione veneziana albergatori, che hanno servito in tavola, e per lo chef dell’hotel Ca’ Sagredo, Davide Fanti, che in cucina ha coordinato anche il lavoro di alcune recluse. «Se potessero uscire le assumerei subito, brave e disponibili», ha dichiarato il grande cuoco. Giudizio positivo anche sulla cucina: «Bella e soprattutto grandi spazi», nonostante la struttura del carcere femminile veneziano sia antica e il ministero della Giustizia, si sa, non naviga certo nell’oro e per questo da anni non stanzia fondi per ristrutturazioni e ammodernamenti.
L’Ava ha organizzato, grazie alla disponibilità della direttrice Gabriella Straffi e di tutto il personale della Polizia Penitenziaria e l’aiuto della cooperativa sociale Il Cerchio, un pranzo di Natale per le detenute, che non hanno solo mangiato. Gli albergatori veneziani, infatti, hanno portato anche la musica dal vivo, c’erano “Jessica e Lele Wonderfull” con i loro strumenti, e tanti regali, soprattutto per i bambini, ma anche per le recluse.
«In questo preciso momento storico abbiamo deciso di porre l’accento sull’uomo, per questo abbiamo scelto un gesto significativo, forte e capace di esaltare umanità piuttosto che il mero gesto simbolico», Stefania Stea, vicepresidente dell’Ava, ha spiegato com’è nata l’idea di coordinare il pranzo in carcere per il secondo anno, la prima volta accadde nel 2013. «La nostra è una scelta di condivisione, preparare il pranzo per le detenute, servire ai tavoli e sedersi e mangiare accanto a loro sta ad indicare proprio questo: ci sediamo accanto a chi ha sbagliato nella sua vita nella speranza di regalare loro la possibilità di respirare un’atmosfera quasi familiare, di amore e di affetto. Volevamo fare qualcosa per il Natale che non fossero le solite luminarie, volevamo festeggiare la ricorrenza con chi normalmente non lo può fare con gioia».
«Per noi tutto questo rappresenta la normalità» ha aggiunto Lorenza Lain, consigliera Ava degli hotel Cinque stelle, «ma per le persone che sono recluse in carcere è un grande emozione poter rivivere gesti normali, di affetto e di condivisione».
Il pranzo si è svolto nell’ampia sala della biblioteca dove sono arrivate anche le madri con i loro bambini, per la maggior parte di pochi mesi ma che possono rimanere con loro fino a sei anni (naturalmente non rimangono nelle celle, esiste una struttura collegata ma distaccata dal carcere dove sono ospitate le detenute con i figli). Al pranzo hanno partecipato anche la direttrice, la comandante della Penitenziaria e alcuni agenti. «Le feste e in modo particolare quella di Natale» ha dichiarato la direttrice, «sono sempre particolarmente tristi per le detenute del carcere. Oggi, grazie alla collaborazione dell’Ava e della Cooperativa il Cerchio, abbiamo regalato una tavola apparecchiata, musica per cantare e per ballare, il sorriso delle persone dell’Ava e dei volontari che hanno servito e cucinato».
Il clima, tra le recluse e le agenti è disteso e sereno, spesso si abbracciano, si salutano con gentilezza, un clima ben diverso da quello che si vive e si respira in un qualsiasi carcere maschile. Anche le celle sono diverse: alla Giudecca ci sono le tende alle finestre con le sbarre, ci sono i tappeti per terra, ci sono i fiori, anche se di plastica, sui tavoli. Pure il colore dei muri è diverso, ci sono colori brillanti e allegri, il verde, il giallo. Eppure anche alla Giudecca c’è chi deve scontare 20 o 30 anni di galera.
Il menu è stato da hotel a 5 stelle (insalatina di mare e manzo salato alle erbette come antipasto, un tris di primi tra cui risotto al montasio e timballo di crepes ai funghi, guancette di vitello all’amarone con polentina e, infine, clementine con ciccolato fondente). E poi tutti a cantare, in particolare alcune detenute che si sono esibite nel karaoke. Infine, la distribuzione dei regali.
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia