Giuseppe Jona, il coraggio di morire per la comunità
VENEZIA È ricordato in una targa del Campo del Ghetto Novo come “maestro di rettitudine e bontà” per aver aiutato la comunità ebraica “nell’ora tristissima della persecuzione”, offrendo “i tesori dell’anima sua grande”. Vicino ai nomi degli ebrei veneziani che vennero catturati e deportati nei campi di concentramento, è inciso su pietra anche quello del medico Giuseppe Jona: si tolse la vita pur di non consegnare la lista con i nomi dei membri della comunità ebraica alla polizia fascista.
Un suicidio lucido e disperato consumato la mattina del 17 settembre di 70 anni fa, ma ancora oggi simbolo di coraggio e dignità. Oggi alle 17 l’Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti e la Comunità Ebraica ricorderanno il professore e la posizione delle istituzioni durante il periodo delle leggi razziali, nel corso di un incontro che si potrà seguire in diretta streaming da www.istitutoveneto.it.
Una testimonianza diretta della forte valenza che il gesto di Jona ebbe nella città di Venezia in quei drammatici momenti sarà letta in apertura dei lavori dal presidente dell’Istituto Veneto, Gian Antonio Danieli. È una lettera inviata in occasione del convegno da Alessandro Pignatti, socio nazionale dell’Accademia dei Lincei.
Seguiranno gli interventi di tre relatori: il presidente dell’Ateno Veneto, Michele Gottardi, racconterà l’esperienza di Jona quando diresse l’istituto di Campo San Fantin dal 1921 al 1925; la studiosa Renata Segre parlerà di Jona come presidente della comunità israelitica e Carlo Urbani tornerà all’Istituto Veneto di quegli anni, quando la nomina a presidente fu impedita dalle leggi razziali. Jona era nato a Venezia nel 1866. Nel 1892 si laureò in Medicina a Padova, per poi tornare a Venezia all’Ospedale Civile. Qui esercitò la professione per quasi quaranta anni, spiccando per le sue doti scientifiche e umane che furono sotto gli occhi di tutti quella mattina, quando si sacrificò per la sua comunità.
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