Venezia Calcio, con il Monza è sfida al passato per Antonelli

Il diesse arancioneroverde: «Con i brianzoli l’unica partita in cui sarò comunque scontento. Galliani mi ha permesso di acquisire un bagaglio d’esperienza incommensurabile»

Stefano Arosio
Filippo Antonelli è cresciuto da dirigente nel Monza
Filippo Antonelli è cresciuto da dirigente nel Monza

Ha mano libera e gambe da scalatore, grimpeur venuto dal mare come Pantani. Eppure non ha la medesima presenza scenica e sorride dicendo “siamo l’opposto” quando gli si chiede se sia l’Ibrahimovic del Venezia. Però, Filippo Antonelli Agomeri, è partito dalla salsedine di Pescara per completare due risalite che forse solo a Oropa si ricordano: da direttore sportivo del Monza in Serie D, ha coronato la risalita in Serie A in 7 anni, per la prima volta in 110 anni. Poi, a 44 anni, nel 2022 lascia per ricominciare con un Venezia ultimo in B e poi condotto in 5 mesi ai playoff. Antonelli entra nel cda neroverde e assume ruolo di direttore generale, uomo forte della proprietà di Niederauer, uno Zlatan senza codino ed egocentrismi. Sabato al Penzo si ritrova di fronte al suo passato in una sfida da mors tua, vita mea.

Antonelli, Venezia-Monza, per lei non una sfida come le altre: il presente cancella il passato?

«Soffro per il Venezia, mi spiace per il Monza. È forse l’unica partita in cui non sarò contento in ogni caso. Ho ancora un forte legame con i brianzoli, non ci siamo mai realmente staccati e lo posso dire. Lì ho anche esordito in B con Gigi Radice, da calciatore. Ma sono abituato a stare nel tempo presente».

Si dimise da diesse del Monza e 4 giorni dopo lo divenne del Venezia: voleva uscire dall’ombra di Adriano Galliani?

«Lui mi ha permesso di crearmi un bagaglio incommensurabile. Io mi misi in discussione. Da dirigente partii dalle ceneri del Monza del fallimento prima dell’arrivo di Fininvest, a Venezia c’era necessità di ristrutturare. Fui attratto dalla progettualità della proprietà americana».

Di cui lei è divenuto in breve tempo figura di riferimento. Degli insegnamenti del suo “padre sportivo” Galliani, cosa le torna utile ora?

«Credere nella forza nella costanza, nell’anticipare gli avvenimenti e il non essere passivo nelle difficoltà. Facendo una telefonata in più, grazie anche agli innumerevoli contatti che ho stretto lavorando accanto a lui».

Ai nipoti potrà dire di aver giocato 16 partite in A. E di aver scoperto dei protagonisti del calcio di oggi: Di Gregorio, Carlos Augusto, ma anche Gytkjaer. Il primo colpo?

«Carlos lo vidi su dei video, durante il lockdown (anticipando la Roma, ndr), Digre lo bloccai già ai tempi del Renate. Ma il primo acquisto fu Andrea D’Errico: lo convinsi a venire in Pro Patria dal Barletta, al mercato».

Un buon dirigente basta per fare la fortuna di una società?

«Serve lavorare sul player trading e creare equilibrio economico, contenere i costi. In A è più evidente la disparità tra club e il rischio per chi retrocede è sempre quello di fare il doppio salto indietro. Chi arriva dalla A, in B è la squadra da battere e si trova di fronte squadre agguerrite. Il caso del Crotone è emblematico. E poi c’è un’altra cosa».

Prego…

«Galliani mi diceva sempre: un ricco è un ricco, un povero è un povero. Un ricco che diventa povero è un problema. Se sei abituato a investire, è più difficile ripartire quando non puoi farlo».

Il Venezia dalla sua ha anche un brand importante da poter spendere. C’è similitudine con quel che avviene a Como, dove gli investimenti sono anche nel settore turistico?

«L’analogia è nel nome della città legato alla squadra e viceversa: i club sono ambasciatori della città nel mondo. Sugli investimenti, a Como stanno dimostrando di essere fuori mercato, da top team non solo in A».

Quale sarà il percorso del Venezia?

«Si creerà un brand riconoscibile a livello internazionale. Una squadra di giovani che potrà competere nello stadio nuovo nella massima serie. I proprietari non sono rappresentanti di un fondo, ma persone appassionate che si sono legate tra loro per ridurre il rischio di investimento».

Quale invece il sogno di Antonelli?

«Di entrare nel nuovo stadio con il Venezia protagonista in A e continuare a crescere nella totalità del progetto. La competitività ad alti livelli è notevole, ci vuole tanto impegno. Ma abbiamo un’arma in più: la capacità di credere nei sogni».

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