Valentina Fiorin regina del volley giapponese

Da Vigonovo a Saitama: «Che fatica la loro lingua, ma vivo un’esperienza unica»

Non solo Zaccheroni, allenatore della loro Nazionale. Non solo Roberto Baggio, che da quelle parti è una via di mezzo tra l’umano e il divino. Parliamo di volley e siamo più grandi noi. E se con il nostro euro compriamo tanti bei (?) cartoni animati con supereroi del calcio ed eroine del volley dalla lacrima facile, il Giappone con il suo yen viene a prendersi le stelle, quelle vere, del volley di casa nostra. Comincia da qui l’avventura di Valentina Fiorin da Vigonovo, ultracampionessa con quasi duecento presenze in Nazionale, 28 anni, giocatrice chiave dell’Ageo Medics Saitama, unica straniera del campionato di A/2.

Tagliamo corto, sayonara, l’inchino e mettiamola sulla chiacchierata col sorriso.

Valentina, che ci fai in Giappone?

«Gioco a pallavolo e questa non è una fatica. Mi diverto, vivo una esperienza importante sotto tutti i punti di vista. Posso considerarla anche una opportunità di lavoro».

Sei fortissima anche in giapponese?

«Lasciamo stare. Ho imparato poco o niente, magari riesco a farmi capire dalle compagne di squadra, ma se non avessi l’interprete sempre vicino sarei nei guai. L’alfabeto? Per carità, conosco due o tre caratteri in tutto».

Allora saltiamo la domanda sui giornali.

«Esatto, non li leggo. Quelli giapponesi è impossibile, quelli italiani non arrivano. E non ci sono canali italiani in televisione. Del resto anche quando sono a casa la tivù la guardo poco. Per tenermi in contatto c’è internet».

I giapponesi hanno la mania delle foto anche a casa, o le fanno solo a Venezia?

«Ne fanno, ma senza esagerazione. Anche al palasport dove giochiamo, spesso mi chiedono di posare assieme o mi chiedono l’autografo. Ma non c’è pressione eccessiva».

Ti chiedono di Nagatomo o del calcio italiano?

«Non ho molti contatti con persone al di fuori della squadra. Ci sono parecchie trasmissioni dedicate al calcio europeo, questo sì. Non mi crederete, comunque lo sport più seguito qui è il baseball».

Ultimo luogo comune, scorpacciate di sushi?

«Macchè. Quasi quasi mi vien da dire che ne mangiavo di più in Italia. adesso sto scoprendo cose nuove, piatti diversi. Comunque, colazione abbondante, pranzo abbastanza “fast”, arancini di riso e succo di frutta, tenete conto che ci sono abitudini diverse, giochiamo le partite a mezzogiorno, e si cena prima delle sette».

Parliamo anche di cose serie. E’ passato un anno giusto dal terremoto.

«E’ una situazione molto strana, delle volte ho proprio la sensazione che per i giapponesi il terremoto sia una cosa normale. Succede ogni tanto, si volta pagina e si va avanti. Del terremoto dell’anno scorso secondo me si parla poco, troppo poco, se si pensa ai danni che ha causato e che continua a causare. La maggior parte dei giapponesi ha superato il colpo, i giornali e le televisioni non ne parlano, ma le conseguenze si vedono tuttora, giorno dopo giorno».

Trasporti puntualissimi, verità o leggenda?

«Prendo spesso il treno perchè non avendo la macchina è l’unico modo per spostarsi, a parte qualche passaggio dalla palestra a casa. La parola ritardo non esiste. Vi dico solo che il mio interprete mi ha spiegato che se sommassimo tutti i ritardi di tutti gli Shinkansen della tratta Tokio-Osaka in un anno, non arriveremmo a un minuto.E ne parte uno ogni quarto d’ora».

Può bastare. Un inchino e ... grazie. Anzi, arigatò.

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