Un veneziano a Roma Tommaso Rocchi 100 gol per la storia

di Simone Bianchi
MESTRE
Se il calcio veneziano arranca tra i dilettanti, c’è chi, veneziano, è andato invece a cercare fortuna altrove e l’ha pure trovata. Oggi è il capitano della Lazio che guida la classifica di serie A, e solo pochi giorni fa ha tagliato l’invidiabile traguardo dei 100 gol con la maglia biancoceleste. Tommaso Rocchi, però, negli occhi dei suoi familiari rimane sempre il solito, quello che non si è montato la testa, che ha saputo vivere una esistenza normale sul pianeta calcio. Distante dalle veline, «ma è anche disordinato e permaloso» sottolinea il fratello Matteo. «Se ripenso a quando veniva a seguire me e Roberto, il fratello maggiore, sul campo dell’Alvisiana a Cannaregio, mi pare ancora incredibile. Aveva quattro anni, poco tempo dopo avrebbe segnato anche 60-70 reti a stagione nelle giovanili del VeneziaMestre prima di trasferirsi a 14 anni alla Juve».
Matteo e Tommaso, cinque anni di differenza, ma se li guardi adesso sembrano gemelli. «Siamo molto uniti, come lo è tutta la nostra famiglia. Delle volte non mi rendo conto di quello che sta facendo o che ha fatto, perchè è rimasto umile. La scorsa estate, in ritiro, stava anche tre quarti d’ora a firmare autografi a tutti. Di lui ricordo sempre una sfida Venezia-Treviso al Penzo. Tommaso era avversario e io ero in Curva Sud a tifare Venezia. Nella porta davanti a me tirò proprio lui un rigore, lo sbagliò prendendo il palo. Non sapevo se gioire o esser triste». Parla di Tommaso e gli si illuminano gli occhi: «Quando arrivò a Torino fu accolto da Furino. Tirò fuori il portafogli, rossonero, con i documenti. Furino rimase sorpreso, ma Tommaso è milanista tutto d’un pezzo». E ancora: «Il suo vero pregio è stato quello di non abbattersi mai quando si sentiva solo alla Juve, e ora ha potuto dedicare alla sua famiglia i 100 gol con la maglia della Lazio, non una squadra qualunque: è nella storia di quella società. Non chiedetemi quanti soldi ho speso per far trovare a mio figlio la figurina Panini di suo zio... una fortuna». Amante della chitarra acustica da suonare con gli amici, ma con una gigantografia su un grattacielo di Pechino per la sfida Lazio-Inter di Supercoppa. Eppure, da giovane aveva nostalgia di casa. «Arrivato a Torino, non abbiamo voluto fargli mancare la famiglia – sottolinea il padre Luigi – altrimenti, forse, non sarebbe dov’è ora. Ogni sabato partivo con mia moglie e lo raggiungevo. Si stava con lui il week end per la partita, poi si tornava. Così per quattro lunghi anni, ma non c’è nulla di cui pentirsi». Poi gli anni della “gavetta” tra Busto Arsizio, Saronno, Como e Fermo, prima di arrivare all’Empoli ed “esplodere” a suon di gol contro le grandi del campionato. «Quando era all’Alvisiana ci dicevano che era una speranza, si vedeva che aveva i numeri per fare qualcosa di buono. Ora, la domenica si aspetta il fischio d’inizio per vederlo in tivù. E se segna, si urla e si salta sulla poltrona. Il centesimo gol? Eravamo davanti alla televisione, solo 7’ da giocare, e alla rete tutti a esultare di gioia». Papà Luigi in questi giorni assieme alla moglie Marina è a Roma per stare accanto al figlio campione. «La Roma laziale impazzisce per lui, ma anche i romanisti gli fanno i complimenti. Il mio unico timore è che a Venezia non tornerà per viverci, dovremo continuare a fare su è giù per l’Italia. Vederlo con la maglia della squadra della sua città sarebbe stato bello, ma credo che non succederà. Ha un contratto fino al 2013, poi forse farà il dirigente alla Lazio».
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