Thoeni: «Stenmark il più grande Ma era un altro sci»

Il campione di Trafoi ospite del Panathlon di Mestre «A Sapporo l’oro più bello. Valanga azzurra? Amici veri»

MESTRE. Il volto è sempre quello, solo qualche ruga in più, capace di esprimere la sua timidezza montanara, associata a poche parole, un velo di ironia e tanta semplicità. Gustav Thoeni quasi si nasconde e sfugge alle domande come faceva tra i paletti dello slalom speciale. C’è poco da fare, lui è nel mito dello sci mondiale, e se pensi a lui non puoi fare i conti con la Valanga Azzurra e le sfide con Ingemar Stenmark. «Altri tempi!» sorride Re Gustav, «c’era tanta passione, non c’erano interessi, e anche i giornalisti al seguito all’inizio erano pochi. In quel gruppo della nazionale c’erano bravi atleti che erano bravi ragazzi, allenatori di qualità che esaltavano le tue caratteristiche, impossibile non emergere mettendoci il giusto impegno. La rivalità in gara non poteva mancare, ma fuori si era amici e si vivevano lunghe giornate sulla neve. Ma non paragoniamo quelle condizioni all’era moderna dello sci, quella attuale. I materiali sono completamente diversi, dagli sci al vestiario tecnico, senza parlare dei paletti fissi con cui avevamo a che fare noi, o le piste che si battevano con i piedi. Altro che gatti delle nevi e pali snodati, se ne pigliavi uno te lo portavi fino a valle ed erano dolori. Così come la sicurezza. Per noi voleva dire balle di paglia a bordopista, che poi con la neve si inumidivano: finirci contro era come sbattere sui sassi, altro che reti elastiche…».

Quattro Coppe del Mondo in bacheca e una sfuggita per un pelo. «Ma è stato bravo Piero Gros nel 1974, più bravo di me e di tutti gli altri. Mi sono mancati dei punti in combinata, altrimenti facevo cinquina. Però la vittoria che ricordo con più gioia è l’oro di Sapporo, il primo oro olimpico. Indimenticabile».

Anni di grandi battaglia sugli sci, nella prima metà dei Settanta, una grande Italia che rivaleggiava con la Svezia di Stenmark, Svizzera, Francia e l’Austria del kaiser Franz Klammer, imbattibile in discesa, anche quel famoso 18 gennaio 1975. «Fu il più grande di sempre in discesa, ma quel giorno sulla Streif di Kitzbühel arrivai a tre millesimi. La discesa la facevo anche da bambino, mi piaceva, e per vincere la coppa si dovevano fare le combinate. Mi sono lanciato giù e per un pelo non ho vinto». Lo dice con la semplicità con cui una persona normale beve un bicchier d’acqua, ma chi conosce lo sci sa che quella fu una impresa che solo un mito come Thoeni poteva fare in quel periodo. Tanti successi per lui e anche un rammarico. «Le Olimpiadi di Innsbruck del 1976, in gigante, ero nettamente in testa al termine della prima manche e alla fine sono arrivato quarto. Cose che capitano».

Se gli chiedi chi sono i migliori di sempre, lui invita a non inserirlo tra questi. «Dico Stenmark in assoluto, per quello che ha saputo vincere, 86 volte solo in Coppa del Mondo. Poi penso a Girardelli, a Zurbriggen e Tomba. Ma ce ne sono anche altri».

«Perché oggi lo sci interessa meno le tivù? Non saprei, di campioni ce ne sono ancora» conclude, « le piste sono tracciate con il calibro, tutto è bello e funziona, ma si è perso qualcosa per strada e non so dire cosa. In Italia c’è stato un cambio generazionale, ma ormai ho lasciato lo sci delle gare e anche quello degli allenatori, penso al mio albergo e alla famiglia, ai nipoti, il resto lo seguo marginalmente. Ho bisogno di recuperare con la mia famiglia il tempo perduto tanti anni in giro per le montagne. Ma sono certo che l’Italia alle Olimpiadi di Sochi potrà portarsi a casa qualche medaglia, soprattutto nelle discipline veloci, dove siamo comunque tra i migliori».

Simone Bianchi

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