«Tacalabala, quel credo nel calcio e nella vita»

Il ricordo della moglie Fiora Gandolfi: lo chiamavano “Habla habla” (Parla parla) ma in realtà era silenzioso. Fu amico di Rocco e la rivalità era costruita
Sarti, Burgnich, Facchetti; Bedin, Guarneri, Picchi; Jair, Mazzola, Domenghini, Suarez, Corso. Con una pausa tra un reparto e l’altro, come s’usava quando i ruoli non erano elastici come adesso, la marcatura si realizzava a uomo e sulle magliette i numeri di chi scendeva in campo erano fissi, dall’uno all’undici. Anni nei quali gli italiani sapevano distinguere perfettamente tra HH ed HH: Helenio Herrera (Il Mago) l’uno ed Heriberto Herrera l’altro. Anni nei quali Helenio insisteva: «Taca la bala...». Chiedeva ai suoi di essere veloci: in Spagna, un paio di volte aveva anche provato ad allenare assieme calciatori e toreri. Però nessuno, lo sapeva, avrebbe potuto essere veloce come la palla. Ed avere lo stesso fiato.


Fiora Gandolfi è stata terza e ultima moglie di Helenio. Abita a Venezia. Un’immagine di anni fa li mostra su una barchetta a remi, accanto alla riva, sul canale di Mazzorbo. Dall’altra parte dell’acqua, la bella casa dove sono vissuti per qualche mese. «Helenio era reduce da un infarto. Il medico l’aveva imputato allo stress». Avevano scelto l'isola per il silenzio. «Quando passo in battello, ancora oggi trovo qualcuno che me la indica e mi informa: sa, signora? Quella è stata la casa di Herrera. Se non lo so io, rispondo...».


La signora Gandolfi si muove con passo felpato nel grande appartamento di Castello, sua residenza oggi. È un luogo ricco di luci e ombre, di tessuti e veli, di colori e toni. Trabocca di idee. Di emozioni. Di carattere. «Nereo? Allora lei è di Trieste». Indica zaino e treppiede: «Metta tutte le sue cose in un posto solo; la casa nasconde».


Fiora Gandolfi è giornalista e scrittrice. “Taca la bala” non è stato solo un pilastro del credo di suo marito, ma anche un elegante libretto dato alle stampe da lei qualche anno fa e titolato, in “monoblocco”, tacalabala. Una parola che, scritta così, unita, non esiste ma, più di altre, sembra riassumere il pensiero di Herrera.


«L’Inter di quei tempi metteva in campo diversi veneti. Tra di loro si lanciavano questa frase: attacca la palla. In dialetto, però». Helenio l’ha sentita e l'ha adottata. «La pronunciava alla francese: tacalabalà». Tutta attaccata, accento sull’ultima sillaba.


Helenio, nato in Argentina, si era trasferito ancora bambino in Marocco, quando era protettorato francese. Ha lavorato in Spagna, Francia, Italia. «La lingua più usata in famiglia era il francese, forse. Ma non c’era ufficialità; se una concetto lo si esprimeva meglio in una delle altre, la si utilizzava. Helenio contava i soldi in francese; era bravo in aritmetica: per esercizio, moltiplicava numeri a tre cifre. A mente: 325 per 722, 417 per 622. A volte dal subconscio riaffiorava la lingua madre, lo spagnolo. Helenio parlava anche arabo: in modo elementare, da sopravvivenza, ma lo parlava. È una lingua che procede per immagini e l’immagine dà l’esatta percezione della cosa. Helenio produceva immagini. Flash». Dritto al sodo.


«In Marocco andava a scuola palleggiando con un sasso tondo, che poi nascondeva per riprenderlo all’uscita. Giocava a calcio con gli amici sulla spiaggia di Casablanca. La sera portavano a casa i pali della porta perché qualcuno non li rubasse».


Ha conosciuto HH per lavoro. Aveva tre ipotesi per un’intervista: «Giuseppe Capogrossi, pittore. Emilio Greco, scultore. Helenio Herrera, allenatore». Il caposervizio ha scelto Herrera. «Ho messo in moto la 500 e sono partita per Grottaferrata, dove la Roma era in ritiro. Ho trovato una persona profonda; molto intelligente. Era soprannominato Habla-habla (Parla-parla), ma non parlava mai. Se lo faceva, lanciava frecce. Ogni frase era precisa e pungente...». La cosa peggiore, diceva, è sbagliare con le idee degli altri.


«Conosceva il silenzio delle chiese. Si sedeva in raccoglimento. Magari, pensava agli schemi delle partite». Non era religioso. «Figlio di un carpentiere anarchico; non so se abbia ereditato da lui il fatto di non essere ipocrita, la convinzione di essere nel vero, la correttezza». Il coraggio: «Dove le tifoserie erano più scatenate e facevano precipitare giù di tutto, prima della partita lui usciva, solo, dagli spogliatoi e faceva, molto lentamente, un giro di campo». Si teneva fuori tiro, ma li sfidava. Quelli reagivano. «Al rientro nello spogliatoio diceva ai suoi: usciamo; li ho sfiancati. È da lui che ho imparato a non avere paura. Una volta c’era da saltare un cespuglio. Non ce la faccio, ho detto. E lui: ma sì che ce la fai… ho saltato. Quando mi sono girata, felice del mio gesto, mi ha mormorato: mai voltarsi indietro. Regalava fiducia in se stessi. Vuole una tazza di tè? Helenio lo prendeva al latte».


Accompagna il tè con un dolce. «Helenio e Rocco? Erano anche amici, ma non potevano, politicamente e tecnicamente, dichiararsi tali. Diversissimi: uno, Nereo, capace di lavorare anche nella confusione; l’altro, Helenio, amante del silenzio, votato a un calcio mistico. Era, in questo senso, un monaco: possedeva un ideale di austerità. A volte mi ha chiesto di accompagnarlo a Trieste, dopo la morte di Rocco. Arrivati al cimitero, preferiva che lo aspettassi fuori. Chissà cosa faceva, arrivato alla tomba di Rocco. Forse gli parlava. In ogni caso voleva restare solo. In concentrazione». Tutti i becchini, dice la signora, lo conoscevano.


«Con Helios, nostro figlio, giocava a pallone in corridoio, proteggendo i vetri con pesanti tendaggi. Metteva sedie lungo il percorso per fargliele scartare. Una volta l’anno, riuniva tutti i figli maschi nati dai tre matrimoni e li portava in viaggio con sé. Parlavano lingue diverse… in realtà, le parlavano tutti tutte e tre».


Fiora cerca qualcosa nella borsetta; nel farlo, estrae un fischietto da arbitro. «È un deterrente; mica posso affidarmi allo spray al peperoncino. Emette un suono fortissimo; forse dovrei usarlo anche a Venezia». Quando si sentisse stritolata tra i turisti. «Quelli si fermerebbero perplessi; io scivolerei tra loro, e passerei». Magia.


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