Roberto Italia: «Quel virus non è riuscito a farmi gol»
NOALE. È una storia che ha dell’incredibile quella che Roberto Italia racconta una calda sera d’estate, scossa dall’arrivo improvviso di nubi temporalesche. Quelle nubi che cinque anni fa coprirono il suo futuro di atleta, padre e uomo. Ma Roberto Italia, il “gigante di Zelarino” che ha saputo con la sua prestanza e le sue capacità difendere le porte e le fortune calcistiche di numerose squadre venete, ne parla con serenità, con la capacità di sdrammatizzare e di riflettere su quello che gli è successo, come chi sa di aver affrontato e superato una di quelle prove che la vita ti mette di fronte. «Era il febbraio 2010 e avevo appena concluso la mia ultima stagione tra i pali. Avevo giocato con la Robeganese, potevo dire di essermi meritato di appendere le scarpette al chiodo a 42 anni. Mi ero sposato ed ero diventato papà di una bellissima bimba. Una sera, dopo cena, sento un formicolio alle gambe, un fastidio tremendo. Nella notte la situazione precipita, chiamiamo il Suem di Mirano. Non riuscivo a scendere da solo le scale».
Roberto Italia è stato colpito da una rarissima malattia, la sindrome di Guillain-Barré, un virus che si manifesta con paralisi progressiva agli arti, di solito partendo dal basso, per poi arrivare alle braccia e che può causare complicanze potenzialmente letali, in particolare se coinvolge i muscoli della respirazione. In meno di un mese quello che era un atleta con un fisico eccezionale, e che amava andare in piscina e palestra, rimane paralizzato e perde anche la capacità di respirazione autonoma, ricoverato, quindi, in terapia intensiva all’ospedale civile di Mirano. «Una situazione pazzesca, incredibile» riprende Italia con grande lucidità, «non ero più autosufficiente, dovevo chiedere aiuto sempre agli infermieri e alla mia famiglia. I primi giorni il dolore agli arti era insopportabile e sono dovuto ricorrere ad antidolorifici potenti. Non sapevo più quale posizione far assumere alle gambe, perché era sempre un tormento. Poi ho sempre più fatto fatica a respirare sino quando sono stati costretti ad intubarmi. Certo la mia storia sportiva, la mia condizione fisica mi ha permesso di reagire meglio, quando la sindrome ha cominciato a regredire dopo le prime terapie. Ma la vera forza è arrivata dalla mia famiglia, dal desiderio di veder crescere mia figlia, di voler stare al suo fianco».
Una determinazione che accompagna l’ex portiere anche nei mesi successivi quando al San Camillo del Lido affronta tutta la riabilitazione. «Non bisogna mai arrendersi. Quando mia moglie mi veniva a trovare, uscivo in sedia a rotelle, andavamo con i mezzi pubblici sul litorale per mangiare pesce. Sono delle prove a cui la vita ti sottopone, ma da cui inevitabilmente esci ancora più forte. Al Lido ho conosciuto altre persone con storie personali di incredibile sofferenza. In alcune occasioni, io che avevo ritrovato la forza, cercavo di infonderla a chi era meno fortunato. Come quando ho fatto il karaoke per gli anziani della casa di riposo».
Oggi Roberto Italia non ha più riacquistata la piena funzionalità dei movimenti, ma vorrebbe che la sua storia fosse d’aiuto a chi ne ha bisogno.E lascia un messaggio: «Un buon giorno a tutti voi, mi raccomando seguite sempre il sole anche quando non c'è perché voi non lo sapete ma siete proprio voi ad alimentarlo con i vostri sorrisi».
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