Paleari: «Con il calcio vorrei far smettere di lavorare mio padre»

CITTADELLA. Prima o poi dovrà ampliare la sua bacheca. Oggi, ad Amatrice, Alberto Paleari riceverà il Premio Pulici come “miglior portiere della Serie B 2018-19”. Un premio intitolato all’ex portiere della Lazio scudettata nel ’74. «Ho mangiato tanta terra - non voglio usare altre espressioni - per essere qui», sorride il numero 1 del Cittadella. «E sono contentissimo di questi riconoscimenti, ma adesso sono proiettato sul campionato. Mi piacerebbe ripetere una stagione come quella passata». La terminò rimanendo imbattuto 12 volte, più un paio ai playoff. Ora i “clean sheet” sono già 3. «Nel mio armadietto in spogliatoio me lo sono scritto, voglio superare quelle 12 partite. Che poi non è ovviamente solo un traguardo personale: se non becchi gol almeno un punto lo porti a casa». E tuttavia c’è stato il rischio di non vederla più sotto le mura: in estate il passaggio al Torino sembrava cosa fatta. «Non lo nascondo: l’esperienza insegna che ci sono treni che passano poche volte e io spero che quello non sia stato l’ultimo. Di gavetta ne ho fatta tanta e andare in Serie A sarebbe stata una grande gratificazione. Salirci col Cittadella sarebbe stato l’epilogo migliore, perché avrebbe coronato un sogno. Così non è stato. A quel punto, il trasferimento in una società così importante come il Torino non avrebbe portato solo prestigio, ma avrebbe cambiato la mia vita da un punto di vista economico. Il mio piccolo, grande obiettivo è cercare di aiutare la mia famiglia a smettere di lavorare e credo che probabilmente avrei potuto riuscirci. Mio papà ha una bottega da artigiano, ripara avvitatori, smeriglie e trapani, e ci sta tutti i giorni dalle 7.30 del mattino fino a sera tardi, mentre mia mamma lo aiuta con i conti. Vorrei che non dovessero più farlo». La notte del Bentegodi è stata una bella botta da assorbire. «Non è facile riprenderti, quando non ci sei abituato. Ci siamo portati dietro la delusione per quella finale. E non è che il colpo sia stato assorbito, ogni tanto ci pensiamo ancora. Poi c’è il fatto che ogni anno, cambiando una dozzina di ragazzi, qualche difficoltà dobbiamo metterla in preventivo e siamo soprattutto noi “vecchi” a dover far capire ai nuovi quello che c’è da fare. Qualche volta ci è riuscito prima, qualche volta dopo. Ora siamo sulla buona strada, anche se non siamo ancora perfetti». —

D. Zil.

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