Omeri al CS Mestre: «Rieccomi a casa»
MESTRE. Sguardo fiero, sempre e comunque concentrato, spesso mentre parla si rivolge a una foto appesa a una parete della sala che ospita il Circolo Scherma Mestre, in via Olimpia. Appeso c’è il volto di Livio Di Rosa: il grande, immenso maestro che ha ricoperto d’oro la scherma mestrina e italiana per anni. Massimo Omeri ne era stato allievo in pedana da giovane, poi è divenuto uno dei primi “prodotti” del vivaio di tecnici che hanno seguito l’esempio e la strada segnata da quell’uomo, al quale molti dovrebbero fare un monumento. Omeri anche quando parla sembra muoversi sulle punte, quasi un guru della disciplina che alle spalle ha i trionfi conquistati con Trillini, Zennaro e ultimo, Cassarà. A Mestre è tornato in quella che per anni è stata la sua “casa” sportiva e non solo, e da alcuni giorni è al fianco di Matteo Zennaro e Isacco Scomparin, a loro volta suoi ex allievi, per rimettersi in forma dopo i problemi di salute che lo hanno costretto a rinunciare all’incarico che aveva assunto a Hong Kong.
«Sono stato male e non riuscivo a essere curato come dovevo, quindi ho preso la difficile decisione di rientrare in Italia ai primi di marzo» spiega con un pizzico di amarezza, «sono stato fermo per un po’, poi ho fatto visita agli amici del Csm cercando un luogo dove riprendermi fisicamente, e nel frattempo collaboro dando solo qualche consiglio. Isacco e Matteo sanno quel che fanno, camminano sulle loro gambe, così metto solo a disposizione la mia esperienza in attesa di trovare un contratto altrove. Mi diverto ed è quel che conta». Il fioretto come arma fisica, la passione come autentico proiettile motivatore in tutto quel che fa. Mestre è storia, è una grande parentesi della sua vita, e Omeri ricorda quando «a 20 anni le strade agonistiche erano davvero chiuse con davanti autentici mostri sacri della scherma. Di Rosa mi chiese se volevo insegnare, così dal 1985 al 1992 gli sono stato accanto, proseguendo a Mestre fino al 1998».
Sono seguiti quattro anni al Petrarca a Padova, uno a Roma e dieci a Brescia prima di virare su Hong Kong. «Sono stato uno dei primi ad avere buoni risultati, a conferma che quello che Di Rosa insegnava era trasmissibile. Lui ha creato sia atleti che maestri, e adesso c’è già una seconda generazione che segue quei passi, Matteo Zennaro lo dimostra».
Ma il segreto è la passione, elemento e parola che ad Omeri illumina letteralmente gli occhi. «La passione per la scherma è ciò che più mi è rimasta dentro dopo l’essere stato allievo di Di Rosa. Lui viveva di scherma, e io mi sono reso conto che per trent’anni ho fatto il monaco per raggiungere certi risultati. L’empatia e la fiducia che Di Rosa instaurava mi hanno sempre colpito, e cerco di fare altrettanto. Non ho mai visto un maestro uscito da Mestre che fosse una scarpa vecchia, Di Rosa ha dato veramente tantissimo alla disciplina». Ma Omeri adesso cerca qualcosa di diverso. «Sono orgoglioso dei risultati raggiunti con Cassarà, con Zennaro o la Trillini. Mi riempie di felicità l’aver scritto assieme a loro pagine di storia che non si cancelleranno, ma adesso vorrei essere coinvolto nella formazione dei giovani maestri, oppure crescere i giovani atleti in qualche sala, ma con ritmi diversi da quelli totalizzanti che ti impone l’allenare campioni dome Cassarà. Lavorare con loro è una grande fortuna eppure non è facile. Ti spremono ed è giusto che sia così, altrimenti non arriverebbero i risultati. Ma ho bisogno di una pausa. Tra cinque anni magari tornerò in quelle vesti. Ho solo bisogno di respirare un po’».
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