«Mi rivedo in lei Sofia Goggia sarà la mia erede»

MESTRE. Tre volte campionessa olimpica e mondiale, autentica signora delle nevi nello sci alpino, timida e pacata fuori dalle piste, leonessa nell’aggredire le porte in gara. Deborah Compagnoni oggi ha 47 anni, ma quando si sposta è accolta sempre da regina. Ha lasciato il segno, è sempre amatissima, icona di sport e carattere più forte dei tantissimi infortuni che ne hanno minato la carriera, al punto da consentirle di disputare solo quattro stagioni complete di Coppa del Mondo. Al Panathlon di Mestre ha continuato a far sognare, ricordando momenti di immensa gioia ma anche frangenti della sua infanzia e dell’attuale presente. Una serata vissuta a vent’anni esatti dall’ultimo oro olimpico a Nagano ’98.
Sono giornate olimpiche a Pyeongchang, come le vive?
«Non con nostalgia, ormai ho smesso da troppo tempo, ma quando c’è un’Olimpiade non manca il coinvolgimento, certe emozioni si sentono e restano nella memoria».
Che bilancio fa di questa spedizione azzurra?
«Un’ Olimpiade “media”per noi. Positiva sicuramente per la mia conterranea Arianna Fontana. Ci sono condizioni climatiche difficili, il vento ha costretto a spostare molte gare ma c’è ancora tempo per vincere medaglie».
Sofia Goggia (attenzione, l’intervista precede di qualche ora il trionfo della bergamasca nella discesa libera, ndr) diventerà una numero uno assoluta?
«Credo la si possa definire la mia erede nello sci azzurro. Nel supergigante è rimasta tra le deluse, ma ha tutto il futuro davanti a sé. Può vincere in ogni momento. Talento vero, non personaggio artificiale. Ha un carattere diverso dal mio, ma come me lotta ed è molto determinata».
Moelgg grande delusa?
«Ha avuto una grande occasione dopo essere stata in testa alla prima manche dello slalom speciale, e non sarà facile passarci sopra, soprattutto perché è a fine carriera e un’occasione così, all’Olimpiade, ce l’hai ogni quattro anni».
E Lindsay Vonn?
«Grandissima campionessa. È bella la sua amicizia con Sofia Goggia, che da sua tifosa è divenuta avversaria».
Stiamo vivendo una fase di ripresa nello sci alpino?
«In generale sì, sia in ambito agonistico che per la gente. Dopo anni con poca neve sulle piste, gli italiani stanno riscoprendo il piacere di sciare, che poi si riflette sulla voglia di vedere le gare».
Come è cambiato lo sci in questi anni?
«Ai miei tempi c’era meno professionalità, nel senso che ora si sta molto più attenti a mille cose come preparazione e alimentazione. È tutto molto più studiato».
Tre Olimpiadi e quattro medaglie per lei.
«Ricordo soprattutto Lillehammer ’94, una Olimpiade come quelle di una volta, con poca pressione mediatica, vissuta in mezzo alla gente, senza pensieri alla sicurezza».
Ad Albertville ’92 però non voleva gareggiare...
«Vero, mi hanno dovuta convincere. C’era una situazione particolare, ero agli inizi, non ero abituata a interviste e a quella pressione. Pensare che ho vinto un oro alla fine, ma anche che il giorno dopo mi sono rotta il ginocchio».
Tutti ricordano il suo urlo di dolore in diretta.
«Urlavo perché capivo che mi ero fatta male, non era la prima volta, e capivo che la stagione sarebbe finita lì. Il dolore era forte, come quello di quattro anni prima all’altro ginocchio».
Che peso hanno le vittorie?
«Le vittorie sono punti fermi, le sconfitte invece servono per crescere».
Che rapporto aveva con Alberto Tomba?
«Non è mai stato geloso delle mie vittorie, anzi, era molto generoso con gli altri compagni di squadra, anche se aveva un team tutto per lui. Era talmente forte che per lui era normale dare consigli agli altri».
Abitudini pregara decisamente diverse?
«Le sue non erano propriamente da sportivo, ma i risultati alla fine gli davano ragione».
Il doping alle Olimpiadi?
«Si è perso il vero significato di questa manifestazione, ci sono troppi interessi, quando chi vive l’Olimpiade dovrebbe pensare che quello è il momento più importante della sua carriera sportiva».
La famiglia?
«Ora è al primo posto, e non imporrò mai ai miei figli di gareggiare nello sci. Ma loro del resto hanno scelto già altro».
Suo marito, Alessandro Benetton, è presidente del comitato organizzatore dei Mondiali a Cortina.
«Ci tiene molto, sta facendo un grande lavoro, vuole migliorare la località grazie a questa manifestazione. Cortina è ferma da troppi anni sotto alcuni aspetti. Sarà di sicuro una bella edizione e senza problemi».
Il suo impegno nel sociale.
«Con Sciare per la vita ricordiamo mia cugina morta di leucemia fulminante e facciamo del bene. Dallo scorso anno a Treviso organizziamo anche Corri per la vita. Una città in cui vivo da ani, tutti carini con me, ma non mi sento molto trevigiana».
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