«L’Italrugby? Lontano dall’Europa»

Edoardo Candiago (Mogliano) alla ripresa della preparazione analizza il momento dell’ovale e il rapporto con “Castro”
Di Gianluca Galzerano

di Gianluca Galzerano

MOGLIANO

Scena d'interni natalizia in casa del capitano: famiglia riunita intorno alla tavola, il grande albero carico di luci e poi lui, l'omone con capelli lunghi e barba folta arrivato con un carico di pacchi impressionante... «Macché Babbo Natale, sto parlando di Castro (Martin Castrogiovanni), persona da non invitare mai alle feste se si vuole evitare la figura del tirchio con i regali, soprattutto con i propri bambini. E se non ci fosse mia sorella a frenarlo un po' (Giulia, ex nazionale di sci alpino, storica fidanzata del pilone azzurro e volto nuovo di Sky Sport per le prossime Olimpiadi Invernali) sarebbe stato anche peggio». Edoardo Candiago, per tutti "Dado", sorride rilassato raccontando i giorni delle sue meritate vacanze: una settimana di stacco totale dal rugby («giusto un paio di sgambatine domenica e lunedì, rigorosamente senza botte») per recuperare energie mentali e fisiche in vista della ripresa del campionato nel classico turno della Befana, nel caso specifico un match sulla carta facile a Reggio Emilia.

«La vittoria nel derby con il Petrarca, per noi fondamentale, è arrivata a chiusura di un periodo massacrante, con il doppio turno di Coppa contro Bath che ci ha messo davvero a dura prova», conferma il flanker pluri-scudettato a Treviso, a Calvisano e a Mogliano, con un passato importante anche nel Casinò di Venezia.

«Il confronto con il rugby internazionale, per noi italiani, è sempre più difficile: non parlo solo di rugby giocato, dove evidentemente il gap è gigantesco, ma di modelli organizzativi inavvicinabili. Nemmeno Benetton e Zebre, che sarebbero nella condizione di provarci, sono lontanamente paragonabili: gli staff tecnici sono composti da più persone, ognuna con un preciso ambito di competenza e supportata da una strumentazione tecnologica sempre più avanzata, per non parlare degli staff medici, delle struttura dei club e via così. Temo che la forbice tra l'Italia e le altre nazioni importanti si stia allargando mostruosamente, non vedo una bella prospettiva per il nostro alto livello e questa impressione è largamente e tristemente condivisa da molti all'interno dell'ambiente».

Dopo una lunga carriera da professionista, parole non propriamente di buon auspicio per l'anno che verrà: «Mi dispiace molto, ma questo è quello che percepisco dentro un ambiente che ormai conosco da molto tempo», prosegue il capitano biancoblu. «Il problema è che i procuratori, con rare eccezioni, spingono comunque i giocatori più giovani a farsi delle illusioni, con il rischio di creare una generazione di disadattati, gente che nel professionismo ci entrerà in percentuali meno che minime senza essersi costruiti in parallelo delle alternative nello studio o nel lavoro (Candiago è laureato in Economia). Ripeto, la visione non è affatto positiva, e credo che in Italia si tornerà nel giro di qualche anno a giocare un rugby amatoriale, con ricadute pesanti anche per la Nazionale, il traino di tutto il movimento».

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