L'ex mister Belligrandi: «Vivo bene senza calcio e cellulare»

Sereno e pungente, si definisce presuntuoso ma non nasconde i suoi dubbi “Fuori dal giro” da 18 anni: «Tornare in panca? Solo alle mie condizioni. Difficile»

MESTRE. Non ci sono più gli allenatori di una volta. Anzi, ce ne sono, ma sono pochi quelli ancora in panchina. La colpa è del calcio, che non è più quello di una volta. Prendiamo Giorgio Belligrandi. Avrebbe ancora molto da dare, esperienze da trasmettere ai giovani, magari contribuire a restituire un volto umano ad un calcio robotizzato nel quale anche i tecnici dilettanti ti dicono «sono contento della prestazione» pur avendo perso 3-0. Belligrandi è fuori da 18 anni, ha chiuso vincendo un campionato con il Mestre. Ora se ne sta al TC La Grotta, ai lati della Castellana, senza farne una malattia.

Belligrandi, via, faccia un bell’outing e dica che odia il calcio attuale...
«No, questa è una trappola. Non lo odio. Dico solo che sono cambiate le regole e queste regole non fanno per me. Venti anni fa sentivo i vecchi allenatori che esaltavano il calcio dei loro tempi e mi dava fastidio. Non voglio fare altrettanto anch’io».

Quali le regole cambiate?
«Quelle per allenare. Ora per trovare una panchina devi portare uno sponsor alla società. Così ti prendono, e se lo sponsor è buono non ti cacciano anche se perdi. Nove volte su dieci funziona così. Io sponsor da portare non ne ho, e sono qua. Va bene lo stesso».

Nostalgia?
«No. Ho chiuso da una vita, ma per un periodo ho collaborato con Alberti, che lavorava per il Bari. Gli ho segnalato cinque ragazzi e hanno fatto carriera tutti e cinque. Qualcosa capisco ancora...

Ma se una società decidesse di chiamarla adesso?
«Farebbe fatica, non ho il cellulare e vivo bene anche senza. Non lo so, non ho l’età per fare compromessi, potrei accettare, perchè no? ma solo alle mie condizioni. Difficile».

Quali compromessi?
«Ricordatevi che un allenatore è fortunato quando non ha bisogno dei soldi del calcio. Altrimenti scendi a compromessi. Se ti servono anche i mille euro al mese, finisci per dire va bene quando il presidente ti vuol fare la formazione. Porti a casa i soldi e via. Per fortuna non è il mio caso».

Nessun presidente ha preteso di farle la formazione?
«Con Bepi Lissandrin, a Mira, ogni venerdì sera si parlava di formazione. Lui voleva una squadra coperta, io d’assalto. Lo ascoltavo. Ma alla domenica lui si aspettava Berton e io mettevo Gementi. Oh, ma no sta a scriverlo».

E il calcio dei grandi?
«Quali sono i grandi? Il vero scudetto l’anno scorso l’ha vinto Di Francesco salvando il Sassuolo. Conte? Non mi è simpatico ma è un vincente. Si vede la sua mano. Un grande è Ulivieri, un altro è Sacchi, affascinante, ti accende la voglia di lavorare. Mazzarri? Piange sempre».

Lei non è “uomo da progetti” con i presidenti?
«Che la finiscano con i progetti. Siamo allenatori, mica geometri o architetti. Ti parlano dei progetti e poi ti mandano a casa se perdi due partite.

Risultato o bel gioco?
«Da sportivo guardo la tivù e voglio vedere una bella partita. Bel gioco e mi diverto. Ma se faccio l’allenatore il bel gioco sapete dove me lo attacco, mi chiamano per vincere, mica per far divertire gli altri».

Ma anche lei qualche errore lo ha commesso...
«Sono un presuntuoso. Ma nei momenti importanti mi faccio prendere dai dubbi e perdo il treno in corsa. Pentito? Assolutamente no. Nei momenti importanti ho dato priorità alla famiglia. Ditelo a chi vi chiede che fine ho fatto...».

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia