Innocenti: «La verità? Abbiamo sbagliato tutto»
MESTRE. La frustrazione, l'orgoglio, la responsabilità: essere il capitano della Nazionale, in Italia, significa saper convivere con questi tre elementi cercando di trasformarli ogni volta in motivazioni, personali e da trasmettere alla squadra. Con in più un'aggravante: perché in un Paese che storicamente confonde il concetto di "cultura sportiva" con une ben più banale conta dei risultati, essere lo skipper di una Nazionale che è anche nazional-popolare a dispetto delle perenni sconfitte ti mette di fronte alla necessità di dover continuamente giustificarti.
«Capisco benissimo Parisse, quell'imbarazzo nel dover ogni volta commentare a fine partita che passi in avanti ce ne sono mentre i 30, i 40 punti di differenza stanno lì a raccontare tutta un'altra storia. Per esserci passato, so quanto quel ruolo possa pesare». Marzio Innocenti era sulla stessa barca nel 1987, capitano nella prima Coppa del Mondo, match inaugurale disastroso contro gli All Blacks padroni di casa, 70 punti presi ed altre due partite da giocare per evitare di essere quelli che passavano di lì per caso. «Altri tempi, ma certe dinamiche di spogliatoio rimangono le stesse», ricorda Innocenti, attualmente presidente del Comitato Regionale Veneto. «A livello internazionale, perdere di 30 punti significa solo una cosa, ormai, che a quel livello non ci puoi stare, e purtroppo è ciò che nel rugby italiano capita regolarmente in Pro12, nelle Coppe Europee, con le Nazionali giovanili e con la Maggiore, a testimonianza che è tutto un sistema ad aver fallito».
Una volta di più, pare che la Scozia rimanga l'unico obiettivo su cui puntare: «Ok, ma è evidente che ridurre l'obiettivo di ogni Sei Nazioni a questo testa o croce è imbarazzante, e peraltro proprio gli scozzesi possono insegnarci che per tornare ad essere competitivi non servono cicli giganteschi, ma un serio lavoro di analisi e riassetto del proprio sistema».
La posizione di Innocenti, rispetto all'architettura della Fir per la costruzione dei nuovi talenti, è agli antipodi. «Credo che quella montagna di soldi spesa tra Centri di Formazione, Accademie Zonali, franchigie celtiche e Alto Livello sia impiegata malissimo. Per dirla in estrema sintesi, occorre ripartire dai club, investire sulla formazione dei tecnici, ricostruire un campionato e una Lega di Eccellenza degni di questo nome, puntare su un'unica Accademia».
L'Eccellenza Innocenti l’ha conosciuta nella breve esperienza sulla panchina dell'allora Casinò di Venezia: «Rugbysticamente si tratta del mio unico vero fallimento», commenta amaro. «Ero stato chiamato per sposare un progetto alternativo al finto professionismo che all'epoca era la regola, ci credevo, ma la società non era poi così strutturata, se poi è successo quello che è successo. Mi spiace, l'ambiente mi piaceva e malgrado tutto ci sono rimasto affezionato».
Tanto da tentare un'impresa difficilissima: «Dopo l'ultimo disastro, come Comitato stiamo coordinando un tavolo con altre realtà del territorio per provare a dare a Venezia un progetto credibile, in linea con la sua vocazione che è quella di città metropolitana. A Mestre si può ancora fare rugby di alto livello, ne sono convinto, e riuscire a dare il mio contributo darebbe un senso diverso anche alla mia sfortunata avventura mestrina».
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