«Imparare a gestire il respiro, il segreto dei grandi sportivi»
Mike Maric, ex campione del mondo di apnea, è ora consulente dei campioni, dalla Pellegrini a Sara Cardin
È il guru del respiro, tra i più apprezzati consulenti nel mondo sportivo per migliorare le capacità in gara, ma i suoi insegnamenti sono applicabili anche nella vita di tutti i giorni, per contrastare l’ansia e affrontare angoscia e attacchi di panico. Mike Maric è diventato un punto di riferimento in questo ambito, e sabato scorso è stato a Mestre, ospite dell’Istituto Gtk, per presentare il suo ultimo libro “La scienza del respiro”, i cui proventi saranno devoluti alla Fondazione Veronesi, e poi per coordinare un laboratorio che ha richiamato molte persone. «Oggi siamo diventati maniacali sulla lettura delle etichette e sulla alimentazione», sottolinea Mike Maric, «ma ci siamo dimenticati che quest’ultima è seconda al respiro. Ogni giorno scegliamo di vivere 20 mila volte, respirando: un essere umano, infatti, può resistere senza cibo per 20 giorni, senza bere per 10, ma non può restare in apnea per più di pochi minuti. Eppure, nonostante la respirazione sia il primo fabbisogno fisiologico necessario alla sopravvivenza umana, è anche quello più sottovalutato. Per questa ragione imparare a respirare in modo corretto è di essenziale importanza».
Come si considera quindi?
«Il nutrizionista del respiro, e aggiungo qualche piccola pillola di sana alimentazione per migliorare la qualità della vita».
Perché questo suo impegno sul respiro?
«Imparare a respirare bene significa migliorare la nostra salute, fare un passo fondamentale nel raggiungimento del benessere psicofisico, nella gestione di fatica, stress ed emozioni. Non è un caso, infatti, che quando proviamo uno spavento, una grande gioia, una paura o una preoccupazione, ci manchi il fiato».
Un esempio?
«In condizioni di stress il consumo di ossigeno passa da un millilitro per litro d’aria ventilata a 150 al minuto. Lo stress è la risposta biochimica con cui il nostro corpo reagisce a uno stimolo esterno. Il risultato è la produzione di cortisolo in eccesso che porta a possibili effetti deleteri, tra cui il depotenziando del sistema immunitario, ma anche danneggiamenti al cervello, accelerando il suo invecchiamento fino ad alterazioni del metabolismo, prima causa del sovrappeso. La respirazione consapevole è la risposta migliore per modulare le emozioni, basti pensare che normalmente si usa solo il 50% del potenziale respiratorio».
Gli attacchi di panico?
«Il respiro consapevole riesce a mediare gli stati di agitazione, e proprio quest’anno gli scienziati hanno dimostrato che usando la testa si può intervenire concretamente».
Segue molti campioni dello sport, il rapporto con Federica Pellegrini?
«Molto bello, come del resto con gli altri grandi atleti che ho seguito e che seguo tuttora. Però devo ammetterlo, quando Federica ha perso la medaglia alle Olimpiadi di Rio ho perso il respiro per lei, non ho dormito e ho anche pianto, come grande è stata invece la gioia per il successo al Mondiale. Tornerò a lavorare con lei, a Verona, in gennaio».
È dura gestire un campione anche in questo senso?
«Ho imparato a essere scettico dei miei scetticismi, e specie con chi ha vinto molto ti puoi scontrare. A volte sono molto testardi nel cambiare qualcosa della loro preparazione».
Cosa le ha insegnato l’apnea?
«A sapermi gestire, a rapportarmi con me stesso scendendo nel blu del mare dove ci sono delfini ma anche squali, come nella vita di tutti i giorni. Là fuori c’è molta cattiveria».
E nel rapporto con gli atleti?
«L’apnea pone il limite e fa comprendere quanto sia prezioso il proprio equilibrio mentale. Il limite bisogna saperlo gestire. La fame d’aria c’è nel nuoto come nel karate e nel ciclismo, basti pensare che un velocista gli ultimi metri in volata li fa in autentica apnea. Con gli esercizi sott’acqua, li rendo consapevoli del limite».
Gestione del respiro meglio del doping?
«Il doping è una battaglia infinita, ma lavorando sulla testa, sulla resistenza e sul respiro si può fare il salto di qualità senza sostanze strane. I risultati i miei atleti li hanno visti».
Quando scende in profondità cosa prova?
«La sensazione più bella è a livello mentale: mentre indosso la monopinna perdo i connotati umani e vivo l’essenza dell’acqua. Non senti più il peso del corpo ma la leggerezza dell’essere, diventi acqua nell’acqua, senza limiti corporei e lentamente tutto si dissolve».
Un consiglio ai giovani?
«Mi fa andare via di testa la sedentarietà dei ragazzi, l’uso smisurato dei tablet e dei telefonini senza fare sport. Quindi è chiaro il mio pensiero».
Serve più attenzione a noi stessi?
«Certamente. Guardiamo agli atleti: per essere più performanti devono cercare prima di tutto risposte in loro stessi».
La prossima sfida?
«Con i disabili. La medicina non è ingegneria, quindi non sempre 2+2 fa 4. La risposta individuale può essere differente, ma credo si possa fare molto. Mi hanno già fatto delle proposte, ci sto pensando».
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