«Il mio sogno: San Donà in Challenge Cup»
Uno pensa al capitano di una squadra di rugby e in automatico l'abbinamento è con il cliché dell'omaccione grande e grosso, tendenzialmente rude nei modi e poco incline all'eloquio. Nulla di più lontano dal vero, se quel capitano risponde al nome di Mauro Di Maggio, indossa la maglia biancazzurra del San Donà e arrotola la "erre" con quel tocco leggero che fa sempre tanto "noblesse". «Scusa se rispondo solo ora, ma questa mattina era in programma la sessione di palestra e proprio non potevo». 27 anni, originario di Vercelli ma ormai sandonatese doc con sei stagioni all'attivo di cui tre da capitano, Di Maggio è un rugbysta per certi versi atipico, tanto gentleman fuori dal campo quanto ruvido nel suo modo di interpretare il ruolo di flanker, placcaggi duri e mani da minatore sempre pronte sui punti di collisione.
«Il rugby è la mia passione, ma non è l'unica cosa che faccio nella vita: mi mancano pochi esami per laurearmi in Giurisprudenza a Padova, poi tutte le mattine collaboro con una palestra. Certo, non è facile conciliare studio, lavoro e sport ai nostri livelli, ma queste sono le condizioni e se Dio vuole, bene o male riesco a portare avanti un po' tutto». Con la grande sfida allo "schiacciasassi" Rovigo ormai alle porte, le vacanze di questo Natale in riva al Piave sono volate via veloci e gli allenamenti, ormai, a pieno regime. «Andiamo ad affrontare la favorita, un team completo in ogni reparto costruito per vincere dominando», spiega, «il precedente in Trofeo Eccellenza, quando abbiamo sfiorato la vittoria, non può essere punto di riferimento, così come l'ultima gara di regular-season dell'anno scorso, quando abbiamo vinto molto bene: ogni derby fa storia a sé, e noi dobbiamo essere consapevoli che solo alzando al massimo l'asticella del nostro potenziale possiamo tentare il blitz». Vercelli, sua città natale, poi Asti, Reggio Emilia e quindi San Donà: una carriera cominciata tardi, a 19 anni, proseguita poi ad inseguire il miglior habitat per un talento che con i campionati minori aveva davvero poco a che fare. «Quando sono arrivato a San Donà ho capito subito che qui avrei potuto esprimermi al massimo», prosegue il capitano, «Questa è una grande piazza, che può darti molto ma a cui devi dare molto. Essere capitano di un club che ha fatto la storia del rugby in Italia vuol dire tanto, il senso di responsabilità con cui si affronta questo ruolo può essere pesante, a volte, ma la gratificazione è enorme. Personalmente, mi sento in obbligo di essere sempre di esempio in allenamento, in partita e in tutti gli altri momenti di vita della società».
Come ad inizio stagione, quando il gruppo ha deciso di ridursi di un terzo i rimborsi pur di restare unito: «Di sicuro una decisione non facile, ma la dirigenza è stata chiara con noi spiegandoci cosa stava succedendo con gli sponsor, e non è che noi giocatori viviamo sulla luna. La speranza è che un buon campionato possa contribuire a sistemare le cose, si sa che nello sport con i risultati è tutto più facile e il nostro obiettivo è quello di fare di questa stagione una stagione importante». Con un sogno personale nel cassetto: «Giocare con il San Donà in Challenge Cup: sarebbe un onore immenso, che mi completerebbe come giocatore e come persona». (g.gal.)
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