Edi Bivi: «Uno stadio che sapeva trascinarci»

A pochi giorni dalla riapertura dell’impianto parlano gli “eroi” degli anni d’oro L’emozione di Trevisanello. Rumignani: «Qualcosa che resta nel cuore»
Di Maurizio Toso
Foto Agenzia Candussi/Cruccu/ Stadio Baracca, Mestre/ Primo allenamento del Mestre Calcio
Foto Agenzia Candussi/Cruccu/ Stadio Baracca, Mestre/ Primo allenamento del Mestre Calcio

MESTRE. Parli del “Baracca” e ti viene in mente Edi Bivi. Più di 350 presenze tra serie A e B con 112 gol segnati, tra quali quello che permettendo nell’81-82 al Catanzaro di vincere a San Siro condannò i rossoneri alla seconda retrocessione in B. Edi Bivi, classe 1960 nato a Lignano, ora pescarese di adozione non ha dimenticato gli anni passati al Mestre, anzi alla Mestrina come si chiamava la squadra in quegli anni, tra il 1978 e 1981. E segue sul giornale l’avvicinarsi della riapertura del Baracca. «Credo che il fascino di questo stadio stia tutto nelle sue dimensioni» racconta Bivi, «il fatto di non essere molto grande fa sì che quando sei in campo si senta il pubblico vicino, molto vicino. E in moltissime occasioni giocando in casa questo si trasformava in un immenso vantaggio per noi. Degli anni passati a Mestre ho un bellissimo ricordo, è passato tanto tempo ma molte cose non si possono cancellare. Il Baracca è una di queste, credo che per chi è mestrino e tifa arancionero lo stadio sia qualcosa che a che fare con un senso di appartenenza culturale».

Una sosta e via, l’amarcord di Bivi dedicato ai suoi anni a Mestre, stagioni nel corso delle quali collezionò 81 presenze e 29 reti, è travolgente. «Si viveva un’atmosfera eccezionale, vivevamo a stretto contatto con i tifosi, da casa allo stadio si andava a piedi, con la borsa in spalla sia prima, sia dopo la partita. E a quando finiva una gara o un allenamento andavamo a bere una cosa nei bar attorno al Baracca, in mezzo ai tifosi». Ricordi di un calcio che non c’è più, di una serie C che ancora non si chiamava Lega Pro, ma che magari regalava emozioni più grandi. «Nel periodo che ho passato alla Mestrina» spiega Bivi, «la C/2 era di ottimo livello, superiore a quello attuale della categoria. Era, soprattutto, un campionato caldo, per noi poi c’erano i derby, prima di tutto quello contro il Venezia, poi quello con il Padova, che si trasformavano in occasioni speciali. Era in quei casi che il calore dei nostri tifosi, quando giocavamo al Baracca, sapeva darti una carica in più eccezionale».

La parola ad un’altra bandiera. «Mestre è il Baracca, il Baracca è Mestre!». Gianfranco Trevisanello, indimenticabile capitano arancionero, inquadra il legame che tiene insieme città, stadio e squadra di calcio. «Al Baracca ho trascorso gli anni migliori della mia vita» attacca con orgoglio, «provate un po’ a immaginare come mi sento quando entro. Tanto per farvi capire quale fosse l’attaccamento alla squadra e al Baracca nel periodo d’oro, a inizio anni ’80 al giovedì si giocava la tradizionale amichevole in famiglia tra Prima squadra e formazione Berretti. Bene, non avete idea di quanta gente ci venisse a vedere. E pensare che si faceva di tutto per non rovinare il campo...». Già, perché chi ha vissuto quelle stagioni indimenticabile ricorda anche gli espedienti per non martoriare il fondo di gioco. E un altro grande nome legato allo stadio Baracca è quello di Giorgio Rumignani, che tra l’altro ebbe, nel 1982, un ruolo importante nel rifacimento in tubolari d’acciaio delle due curve. «Stadio eccezionale» ricorda Rumignani, «tra l’altro io continuo a viverci vicino, visto che mi divido tra Mestre e Lignano. Noi del Mestre ce la giocavamo, e alla grande, con Venezia, che era conosciuta in tutto il mondo. Con il tempo le cose cambiano, certo, ma credo che il Baracca sia rimasto qualcosa di molto importante per i mestrini, che ha a che fare con un forte senso di identità».

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