Barraud, un sorriso «Mogliano aspettami, a luglio sarò in campo»

Rugby. Il francese, ferito a Parigi la notte del 13 novembre sta riprendendosi. Un blitz al “Quaggia” per salutare gli amici
Di Gianluca Galzerano

MOGLIANO VENETO. Una sorpresa, se annunciata, non è proprio del tutto una sorpresa: eppure, il rientro di Aristide “Gigi” Barraud nella sua seconda casa – la club house del "suo" Mogliano – per la prima volta dopo l’incubo degli attentati parigini ha mosso emozioni e sentimenti come solo la più bella, inattesa, incredibile delle sorprese avrebbe potuto fare. «Vorrei essere a Piacenza per il match di campionato tra i miei compagni e i tanti amici che ancora ho tra i Lyons, la mia prima squadra italiana» aveva detto nelle scorse settimane il francese, vittima della follia jihadista nella notte tra il 13 e il 14 novembre. Detto, fatto: gli ottimi progressi nel lungo percorso riabilitativo intrapreso con lo staff medico dello Stade Français gli hanno fatto ottenere il permesso per una breve visita, cominciata venerdì mattina con l’arrivo al “Quaggia” mentre la squadra stava completando l’ultima sessione prima della partita giocata ieri al “Beltrametti”, proseguita poi con la presenza sulla tribuna dello stadio piacentino e che sarà chiusa domani con la ripartenza verso Massy, quartiere multietnico nella cintura più esterna della capitale francese. Breve, ma decisamente intensa, spesa ad assorbire, quando non ad arginare, la debordante ondata di affetto che tutto l’ambiente rugbystico ha voluto fargli sentire addosso in maniera “fisica”. «Mi spiace di non essere ancora molto in forma, ma soprattutto di non avere ancora la voglia di ritornare più di tanto su quello che mi è accaduto» ha gentilmente commentato quasi scusandosi, con quell’umiltà che tutti gli riconoscono anche in campo malgrado talento e numeri da top-player, «ora voglio solo concentrarmi sulla mia ripresa fisica, ho promesso a me stesso e ai ragazzi che sarò in campo per il primo allenamento estivo della prossima stagione, recuperato non al 100%, ma al 200%, perché dentro ho una voglia di giocare che non vedo l’ora di sfogare». Uno sguardo pieno d’odio dritto dentro gli occhi prima di fare fuoco: è questo l’ultimo ricordo della notte maledetta prima di sentire i proiettili entrargli nel corpo, il primo nel polmone, gli altri nella gamba, quando era già a terra ma il terrorista voleva accertarsi di aver finito il suo lavoro di morte. «Momenti terribili, ma fisicamente so che ce la posso fare, e malgrado tutto quell’odio incomprensibile io non ho perso la speranza e la fiducia nel genere umano. Credo anzi ancora di più nella forza dell’amore e dell’accettazione reciproca costruita sulla reciproca conoscenza. Tutte le testimonianze di affetto e di vicinanza ricevute in questi mesi non possono farmi pensare diversamente, e mi dispiace solo non aver potuto riservare la giusta attenzione a tutti».

Stesa accanto a lui, tra il sangue e gli altri corpi sul marciapiede tra il “Café Carillon” e il “Petit Cambodge”, c’era anche la sorella quella sera: «Sarà un recupero molto lungo anche per lei, ma siamo entrambi vivi e pieni di coraggio e positività». Mogliano, nel frattempo, è pronta a riaccoglierlo in pianta stabile: «La seconda parte del recupero la farò qui, vicino al mio club e ai miei compagni di squadra, ma vicino anche a Venezia, città incredibile e magica. Pochi giorni dopo quello che mi è successo era in programma una giornata “da veneziani” organizzata da alcuni amici locali: un po’ di cultura, poi cichéti, vino buono e un giro in barca per vedere la città dall’acqua. Diciamo che c’è stato un “contrattempo”, ma a questo appuntamento ho pensato spesso e in primavera voglio assolutamente recuperarlo».

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