Alberto De Marchi Il brivido azzurro del cuoco pilone

Rugby. Nato a Jesolo, cresciuto nelle giovanili del San Donà protagonista al Sei Nazioni, a Twickenham come a Roma

ROMA. Primo ingaggio, ingresso in prima linea leggermente in ritardo e mischia arrotolata all'indietro come un calzino Anni '80: quando la faccia riemerge dall'erba, tutto intorno Twickenham mormora e ghigna, con i suoi 85.000 spettatori ed il suo secolo di storia impregnato di nazionalismo come da nessun'altra parte al mondo. «Questione di misure, all'inizio abbiamo avuto qualche problema, poi però ci siamo sistemati e mi pare che le cose siano andate meglio...». Decisamente meglio, chiedere per conferma agli inglesi di coach Lancaster: una battaglia incerta fino all'ultimo secondo, laddove per i padroni di casa era scontato attendersi una passeggiatina domenicale fuori porta. «Una soddisfazione enorme, però la sensazione di aver sfiorato un'impresa storica ti rimane attaccata dentro, lasciandoti una voglia incredibile di spaccare tutto: oggi contro l'Irlanda dovremo ripartire da qui, incanalando questa rabbia sui binari giusti».

Domenica scorsa Alberto De Marchi c'era, alla sinistra di quella prima linea che, a detta di tutti, ha saputo ricostruire dalle basi un match indirizzato dopo i primi minuti molto peggio di quanto già non avessero previsto i bookmakers: non male, come prima partita da titolare azzurro per il ragazzo di Jesolo. «Emozioni forti, ma non dentro il campo. Quando giochi non pensi a nient'altro che al lavoro da fare, e anche se sembra assurdo da dire, perfino un posto come Twickenham per quegli 80’ non esiste più» racconta il 27enne pilone del Benetton, «del resto, quando ogni settimana affronti avversari fortissimi come capita in Pro 12, la gestione della pressione diventa automatica: la crescita della squadra dipende moltissimo anche da questo». Le ultime parole di Brunel - l'allenatore francese che ha creduto in lui regalandogli il primo cap lo scorso giugno - durante il rito della consegna della maglia, prima di infilarsi nel pullman verso il kick-off. «Da lì in poi è stato il turno di Sergio (Parisse, ndr) toccare le corde giuste, ma posso assicurare che di fronte a certe sfide non sono gli stimoli quelli che ti mancano». Sul suo percorso due allenatori, quello della Nazionale e quello del Benetton, differenti eppure egualmente importanti: «Entrambi hanno la stessa determinazione feroce per la vittoria» prosegue De Marchi «ma tanto ci spinge a sentirci liberi di adattarci alle situazioni Brunel, quanto invece Franco Smith preferisce lavorare su piani di gioco molto strutturati: due visioni diverse che mi stanno arricchendo moltissimo, mi considero molto fortunato ad averli incontrati». Partito dalle giovanili del San Donà dopo un primo tentativo con il calcio non proprio riuscitissimo («A 14 anni non mi infilavo più la maglia da quanto ero robusto, però qualche partita la faccio ancora e il piede è rimasto molto buono"»), De Marchi capisce che il rugby può diventare una professione solo dopo la prima convocazione con la Nazionale A: «Fino a quel momento ero convinto che avrei fatto il cuoco, visto gli studi alberghieri e la tradizione di famiglia» ricorda dichiarando una passione sfrenata per MasterChef. Ill progetto, per ora, rimane in stand-by. Se dovesse diventare realtà, spero comunque di avere tutti clienti come Cittadini (il pilone destro compagno anche a Treviso, ndr): quando ho visto quanto è capace di mangiare non ci potevo credere". Di sicuro, da agosto un nuovo lavoro non gli mancherà: «La mia ragazza, Ilaria, mi renderà papà per la prima volta: se sarà una bimba si chiamerà Cecilia. Quella sì, è emozione incredibile».

Gianluca Galzerano

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