Mostra del Cinema e migranti, la regista di Green Border: «L’Europa codarda e il rumore assordante delle nostre coscienze»
In Concorso a Venezia 80 “Green Border” di Holland sui respingimenti tra Polonia e Bielorussia.
La regista durissima: «Questo continente diventerà una fortezza per difendersi»
“Mourir mille fois”. Morire mille volte. Lo canta il rapper francese Youssoupha alla fine del film di Agnieszka Holland “Green Border” che racconta il dramma dei respingimenti dei profughi africani e mediorientali sul “confine verde” (circondato da foreste) tra Bielorussia e Polonia. Ogni tentativo fallito di raggiungere l’Europa è come morire. Anzi, per moltissimi di loro, spesso, la vita finisce lì: assiderati, affamati, annientati nel corpo e nell’anima.
Come un brusco risveglio, dopo storie biografiche e amori che attraversano il tempo, l’attualità squarcia il Concorso della Mostra del Cinema di Venezia con un’opera durissima che sposa più punti di vista.
Quello di una famiglia siriana (due degli attori sono autentici rifugiati), vittima di violenze feroci da parte della polizia polacca e bielorussa. Quello di un gruppo di attivisti e di una solitaria psicologa che sfidano le istituzioni soccorrendo i migranti. E, infine, quello di un poliziotto scavato da una crisi di coscienza.
Agnieszka Holland, da sempre impegnata a raccontare le pagine più nere del Vecchio continente, gira in bianco e nero come Spielberg in “Schindler’s List”: un accostamento non casuale perché le parole della regista arrivano dritte al punto.
La crisi dei migranti è l’Olocausto di questo secolo. E il suo film è un attacco frontale all’Europa. «La vaccinazione della Seconda Guerra Mondiale non è servita a nulla. Il pericolo del totalitarismo è stato solo messo a dormire. L’Europa, culla dei diritti civili, sta perdendo le proprie convinzioni e ha paura. Un terrore che i politici populisti e i dittatori come Putin sfruttano: crepe di coscienza di una Europa che non sa come affrontare la crisi dei migranti perché è un problema crescente e i mezzi ad oggi utilizzati – respingimenti, muri, foraggiamento di dittatori africani ed asiatici per impedire gli arrivi – sono inutili. Continuando su questa strada, anche con il dramma del cambiamento climatico, questo continente sparirà, diventerà solo una fortezza per difendersi e uccidere chi proverà a scavalcarla».
Parole durissime come molte delle sequenze del film che mostrano la crudeltà che la polizia, ancora oggi, riserva ai migranti in un lembo di terra “proibito”. Il Governo polacco ha, infatti, deciso di chiudere la zona intorno alla frontiera. «È la zona incubo. Non c’è possibilità di documentarla e per questo ho fatto un film di finzione con più punti di vista per restituire la complessità del problema. C’è una precisa volontà istituzionale di non rivelare ciò che sta accadendo. Nessuno ha protestato. L’esperienza del Covid, ha contribuito ad accettare qualsiasi decisione dall’alto sulla nostra libertà. I media, che pure, all’inizio, hanno provato a denunciare la situazione, ora sono diventati più codardi e pigri».
Il film si chiude con una didascalia impietosa sul numero dei migranti morti nel Mediterraneo, sul confine balcanico, nel Canale della Manica, sulla rotta turca e sul “green border” in aperta contraddizione con la politica di accoglienza, in Polonia, di 4 milioni di profughi ucraini nel febbraio del 2022. Per queste vittime Agnieszka Holland ha chiesto, in sala stampa, un minuto di silenzio. Per un momento la colonna sonora della Mostra si è spenta per ascoltare il rumore assordante delle nostre coscienze.
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