Il sogno di Ottavia Piccolo, Venezia digitale e case agli studenti

Idee per il terzo dopoguerra: «Questa emergenza ci costringerà a fare quello che non abbiamo mai fatto. Ripartiamo dalla cultura, ce n’è tanta»

VENEZIA, «Quando, speriamo presto, non si parlerà più di questa cosa, dovremo tenere la barra dritta. E cambiare la visione di questa città, della sua laguna, delle isole. Cambiare, e ripartire in modo diverso».

Ottavia Piccolo è una delle più importanti attrici italiane. Ben presente nell’immaginario collettivo dei meno giovani, oggi di nuovo in prima fila sulle scene teatrali con le sue commedie impegnate sul lavoro e sui temi sociali. Da molti anni abita al Lido, cittadina veneziana appassionata della sua città.

L’emergenza la costringe in casa, come il resto d’Italia. Solo qualche uscita a pochi passi da casa, per portare a spasso il cane, fare le spese. Anni passati a denunciare lo sfruttamento turistico e l’invasione delle grandi navi, la trasformazione selvaggia della città. Adesso di colpo, tutto è svanito.

«Speriamo di non dover rimpiangere gli eccessi di prima», sorride.

Che faremo quando la vita ricomincerà a scorrere?

«Saremo costretti a cambiare, non potrà essere più così. La prima cosa che mi viene in mente è che qui abbiamo due Università importanti. Che dobbiamo offrire agli studenti un modo per vivere in città, per restarci».

Ma come?

«Le case che per qualche anno non si potranno affittare più ai turisti si potranno invece mettere a disposizione degli studenti e delle giovani coppie. Si guadagnerà un po’ meno, ma così torneranno gli abitanti, riapriranno le botteghe e i negozi artigiani, che avranno qualcuno a cui vendere i loro prodotti».

Non basterà forse

«Forse sì se organizziamo già da adesso un sistema nuovo. La seconda cosa a cui penso è il videolavoro. Si è sperimentato con successo in questi giorni. Si può attivare su larga scala. Si è capito che si può vivere a Venezia e lavorare da casa, invece che lavorare qui e abitare altrove. Certo i prezzi dovranno scendere, ma succederà, è inevitabile. Così si fa ripartire una nuova economia. Forse è una cosa stupida, ma io ne sono fermamente convinta. Quella è la strada, per forza».

Certo non saranno i guadagni del turismo

«Ma i turisti non verranno più per qualche anno, questo è sicuro. Questo problema è mondiale. Quando l’emergenza scenderà, la gente andrà al massimo al mare sottocasa. Non certo negli altri continenti per un bel po’...»

Dunque?

«Questa tragedia ci obbliga a fare qualcosa che non abbiamo mai fatto. A ripensare la città. Come una città vera. E non più soltanto come un luogo di passaggio di gente che lascia due soldi, nemmeno sempre, e se ne va».

Una città che di potenzialità ne ha tante.

«Ma scherzi?!? Ne ha tantissime. Prendiamo la cultura. Qui abbiamo istituzioni prestigiose, il teatro Goldoni, la Fenice, la Biennale, la Fondazione Cini, il Conservatorio e tanti altri. Dobbiamo ridare vita a tutto quello che è bloccato. Ma attuare sinergìe, mettere in circolo le idee, incoraggiare le produzioni di qualità».

Si dice da anni…

«Da quanti anni lo diciamo… è vero, ma adesso è obbligatorio farlo se vogliamo ripartire. Ci sono attori, e non è il mio caso perché da gennaio ero ferma,, che avevano cartelloni in programma nei teatri. La loro vita. Saltato tutto, non c’è più niente. Bisogna risarcirli e dare loro un futuro. E l’unico modo per salvarsi. Non parleremo per un pezzo di turisti e navi da crociera, bisogna girare pagina e guardarsi in casa»

Quando finirà l’incubo?

«Sono in dieta, non bevo e mangio poco in questo periodo. Ma appena finisce stappo una bottiglia e festeggio in terrazza. Intanto resistiamo. E pensiamo positivo!». —

© RIPRODUZIONE RISERVATA
 

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia