Venezia retrocesso in B: dopo le delusioni è l’ora dei veleni. Gli striscioni: «Venezia non si Usa»

Fioccano le accuse alla società statunitense, nel mirino c’è il “director of analytics” Alex Menta. Il futuro è sempre più incerto, cala il sipario sul vecchio Penzo che rischia di tornare un deserto

Francesco Gottardi
"Non scherzate con la nostra fede": uno degli striscioni contro la società
"Non scherzate con la nostra fede": uno degli striscioni contro la società

VENEZIA. L’ultima goccia è arrivata ieri: Poggi e Collauto ufficialmente via dalla società. Ma in laguna tutti sapevano già. Tutti erano già in protesta. Perché dopo tante avvisaglie, nel giro di un mese il Venezia ha smantellato la sua anima local. Nel giro di un anno, il suo rapporto con il territorio. Questi sono i fatti. Questa è una frattura reale. Profonda e da non sottovalutare, se la proprietà vuole davvero restaurare un futuro di sinergia e ascolto. «È evidente», ha detto al Taliercio il presidente Niederauer, «che una parte dello stadio domenica era contro di me». L’altra era semivuota. A che serve indorare la pillola?

GENESI DELLA FRATTURA

Senza tornare troppo indietro nel tempo. Fino a gennaio, l’alchimia arancioneroverde stava sopravvivendo a tutto: maglie all black – e si sa, in questa piazza, quanto contino i tre colori –, squadra e social a trazione internazionale, poche iniziative per chi ha sempre tifato, anche in Serie D. Ma la sbornia d’autunno – Fiorentina, Roma, Bologna – bastava a far sognare. A illudersi. Poi è arrivato il mercato. La crisi di risultati. E la prima, dura contestazione, dopo il tracollo casalingo contro la Samp: la curva sud chiede e ottiene un faccia a faccia con giocatori e staff tecnico. Tutto sembra limitarsi a questioni di natura sportiva, motivazionale. Ma lì scatta qualcosa: la consapevolezza del «questi purtroppo siamo, e chissà come avremmo potuto essere».

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Vuoi per intuizione, logica o necessità di un capro espiatorio – ai posteri l’ardua sentenza – il mondo arancioneroverde inizia a convincersi che il primo responsabile del flop sia il director of analytics Alex Menta. «Le decisioni all’interno del nostro club sono sempre state collettive», ribatte Niederauer a bocce ferme. «E sulla storia della campagna acquisti decisa in base alle statistiche, posso assicurare che questo è soltanto uno dei tanti criteri che utilizziamo per scegliere un giocatore».

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STRISCIONI CLOU

In breve la situazione sfugge di mano. Che la squadra in primavera continui a perdere non aiuta. Eppure, dopo otto ko consecutivi, contro l’Atalanta la curva acclama Zanetti e fuori dal Penzo appende un perentorio “Menta go home”. All’indomani, dirigente difeso e allenatore esonerato. La sconfitta contro la Salernitana, con Soncin in panchina, di fatto segna la retrocessione del Venezia. Ma “Zorro” e il diesse Collauto sentono la necessità di incontrare personalmente i tifosi, prima del verdetto definitivo. Le loro voci sono le sole uscite da ambiti societari in questi mesi.

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«E gli americani?», si domanda chi è quaggiù. Silenzio dissenso. L’ordigno è innescato: alla vigilia dell’ultimo match casalingo fioccano gli striscioni in zona Taliercio e Sant’Elena. “Venezia non si Usa”, maiuscolo non casuale. “Grazie di tutto, adesso fuori dai c…”. E ancora: “Rispettate la nostra maglia, non scherzate con la nostra fede”, durante la partita. Il finale è già scritto, “stagione fallimentare”. All’indomani toccherà anche a Poggi e Collauto.

GIRO D’ONORE

Per questo, mentre il Cagliari è a terra, retrocesso, gli unici uomini in piedi sono loro. Accolgono gli applausi, i cori del loro pubblico. Quando tutt’altri cori vengono riservati al resto della dirigenza, Paolo e Mattia scavalcano i cartelloni pubblicitari. Danno il cinque agli ultras. Sono due di loro, bandiere ammainate. Di tutto questo, Niederauer non sembra farne un dramma: “Dispiace non essere più apprezzato da tutti”, e quell’affetto per i due veneziani è frutto di una vita intera di militanza, fallimenti, dilettantismo e abbandono mai. Impossibile ottenere altrettanto, nemmeno per il presidente della promozione. Però era ben possibile – e forse lo è ancora – aspirare all’entusiasmo là dove ora divampa la rabbia. «Meglio dell’apatia», sottolinea lui: «La risposta numerica del Penzo, nel corso di questa stagione, è stata finalmente soddisfacente per un club come il nostro». Attenzione però. Perché a Venezia, uno stadio pieno è come i foghi del Redentor: spettacolare, abbagliante. Ma poi è un attimo, prima che torni buio pesto.

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