Venezia, porta logistica d’Europa: il primo passo è crederci davvero

Il sistema di infrastrutture, servizi, risorse umane è già oggi pronto per diventare l’alveo di una “logistica della trasformazione”

Alessia Zambon

Al colpo d’occhio, il Mare Adriatico è un lungo imbuto che converge sulla laguna di Venezia. È un porto naturale dai tempi della fuga da Ilio in fiamme, luogo ideale per riversare persone, merci e idee dal sud e dall’est del mondo verso l’Europa.

Questa vocazione fisiologica rende inevitabilmente l’intera Città Metropolitana di Venezia una frontiera internazionale, e così l’intuizione del Conte Volpi di Misurata, unita alla spinta delle leggi di mercato, ci ha condotti qui dove siamo, con un Porto Industriale che genera 6.6 miliardi di euro di fatturato all’anno e dà lavoro diretto a 11mila persone e indiretto ad altrettante, interconnesso a un Aeroporto Internazionale che muove 11 milioni di passeggeri ogni anno, uno snodo autostradale che fa parte di due dei Corridoi Europei TENT-T, un baricentro ferroviario che si inserisce in due Corridoi Ferroviari Europei e addirittura una rete fluviale, oltre a una importante dorsale di fibra.

A volte sembriamo poco consapevoli sia di dove ci troviamo, sia dello stato dell’arte dell’area di Porto Marghera: quel lembo di terra affacciato sulla laguna più preziosa del mondo ha vissuto diverse fasi, a partire dalla fase della “pellagra”, quel 1917 in cui a Venezia si moriva di fame e solo un’intuizione geniale salvò la città, portando la chimica di base in un posto che aveva tutto ciò che le serviva: manodopera a basso costo, energia idroelettrica, logistica. Poi ci fu il periodo dell’espansione, durante il quale tutto era concesso e dove vennero fatti i danni che, a partire dalla successiva fase (quella dell’accordo di programma del 1998) abbiamo cercato faticosamente di rimediare.

Arrivati al 2024 possiamo forse cominciare ad alzare la testa dal tema delle bonifiche, perché tutto è cambiato. Su quello che era un deposito di fertilizzanti è nato un incubatore di imprese (il VEGA), dove c’era il Petrolchimico si fa ora ricerca e sperimentazione su biocombustibili e idrogeno, su riciclo virtuoso e nuovi materiali. La chimica rimane un ricordo, sotto forma di hub logistico.

La “cinturazione”, che raccoglie l’acqua della falda e la invia al depuratore di Fusina, la messa in sicurezza delle aree inquinate, le bonifiche di grandi aree come la ex ALCOA, stanno restituendo ettari di terreno e centinaia di metri di banchine che si affacciano sull’Adriatico e comunicano con l’Europa intera. Quello che era un luogo per operai, ora è manifatturiero al 35%, ma al 45% è logistica, il resto sono servizi e il trend occupazionale ci dice che sono questi due ultimi i comparti che stanno crescendo, nei fermenti, anche sindacali, a cui stiamo assistendo ultimamente.

Ma siamo sicuri di aver esplorato tutte le potenzialità di questo imponente sistema di relazioni e di scambi con il mondo?
Possiamo chiederci se vogliamo accontentarci di essere un Hub di merci e persone, oppure se vogliamo passare al livello successivo e diventare fulcro per altri settori che possono risvegliare, attivare, “incubare” nuove economie e nuove sperimentazioni. Il sistema di infrastrutture, servizi, risorse umane è già oggi pronto per diventare l’alveo di una “logistica della trasformazione”, un punto in cui arriva la materia prima e riparte il semilavorato. A pochi chilometri, a Campalto, è nato un nuovo Data Center tutto locale, pronto a sostenere la crescita del flusso di dati.

Se ci prendiamo il tempo per immaginare un futuro, che non è neanche particolarmente fantasioso, ma in realtà ha già solidi esempi da cui trarre ispirazione e buone pratiche, una infrastruttura così capillare in un territorio ricco come il Veneto deve aspirare a diventare Hub e volano energetico, digitale, della sostenibilità, delle idee. Ora che lo abbiamo ricordato a noi stessi, dobbiamo spiegarlo a tutti coloro che cercano il luogo giusto da cui entrare in Europa per crescere.

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