Mestre brutto anatroccolo: non è (solo) un problema della politica

Gli strumenti finanziari possono incentivare interventi di rigenerazione, soprattutto nelle aree periferiche e marginali fuori dalle logiche del mercato immobiliare

Giovanni Mingardi

Alcune settimane fa mi trovavo sul rooftop dell’Hybrid Tower di via Torino, l’edificio più alto di Mestre, da lassù si ha una visione panoramica della città: il centro con i suoi palazzi disordinati, il complesso di Marghera custode di un’architettura industriale dimenticata, l’orizzonte della periferia e le aree verdi di Forte Marghera e del Parco San Giuliano con la sua darsena lambita dalla Laguna e rivolta sull’iconica immagine del centro storico veneziano.

Nonostante le suggestioni, è fondamentale inquadrare la premessa e il principale problema della nomenklatura urbana mestrina, traducibile nel fenomeno della “paralisi urbanistica”.

Mestre è una città giovane, se consideriamo che la sua genesi urbana è contraddistinta dal boom delle industrie petrolchimiche e del massiccio incremento dell’attività edilizia dei primi anni Sessanta. Le recenti amministrazioni hanno dovuto affrontare sfide significative riguardo allo sviluppo territoriale della città, a causa della discrepanza tra i piani urbanistici e le esigenze del mercato immobiliare attuale.

Per consentire una crescita della Terraferma, è fondamentale adottare un approccio più flessibile e collaborativo, il coinvolgimento attivo degli operatori economici e un'azione tempestiva nell'adattare le normative urbane. Tuttavia, il progresso armonioso della città, è ostacolato dal punto di vista programmatico e legislativo, visto che i piani urbanistici vigenti sono spesso definiti da normative obsolete redatte decenni fa e non riescono più a soddisfare le necessità contemporanee della comunità e dell'economia locale. In questo scenario, Mestre ha l'opportunità di rinascere e di scrivere il suo futuro urbano, abbracciando nuove politiche di sviluppo.

Soluzioni come operazioni di brownfield, ovvero terreni o proprietà ex industriali da rigenerare, possono offrire benefici tangibili sia alla collettività che agli investitori. Anche gli strumenti finanziari possono incentivare interventi di rigenerazione, soprattutto in contesti dove la logica del mercato immobiliare non supporterebbe tali azioni, ad esempio le aree periferiche e marginali, generando entrate finanziarie per gli enti pubblici attraverso il concetto di "land value capture", vuoi tramite la cessione onerosa dei diritti edificatori - attingendo dall’esperienza antesignana del Comune di Milano adottata nel 2013 – ovvero tasse di scopo per sostenere la realizzazione di infrastrutture pubbliche o sull’incremento di valore immobiliare a seguito dell’intervento di rigenerazione; infine attraverso altri contributi di tipo parafiscale o contrattuale, finalizzati a dividere il valore generato, compensare o partecipare alla realizzazione di infrastrutture e servizi pubblici.

Malgrado le buone intenzioni, per realizzare concretamente queste iniziative, è necessario rivedere soprattutto i tempi e le normative legate alla pianificazione urbana: i lunghi iter burocratici delle varianti urbanistiche e le rigidità normative rischiano di frenare gli investimenti e di rallentare il processo di trasformazione urbana.

In termini operativi è necessario premettere che, nell’attuale contesto immobiliare, la domanda ricorrente è: "Quali sono le possibilità secondo il piano regolatore vigente?".

È cruciale riformulare il problema in termini di "cosa non si può fare", considerando le prospettive della città, cittadini e dei decisori politici, nella zona specifica.

La chiarezza aiuterebbe gli operatori economici a capire cosa è permesso e cosa è vietato, mentre ai cittadini fornirebbe una percezione finalmente comprensibile del destino urbano.

Al contrario di quello che si potrebbe pensare, non si tratta solo un problema di politica:

il destino di Mestre non è ostacolato da inerzie delle amministrazioni. Basti pensare alla virtuosa gestione della giunta Costa, che ha dato vita al Parco San Giuliano, o alle successive amministrazioni che hanno cercato di ricucire dal punto di vista infrastrutturale Mestre e le sue municipalità. Il problema vero sono i tanti “comitati del no”, accomunati solo da una mancanza di prospettiva e di visione del territorio e dall’idea della “decrescita felice” e della stagnazione urbanistica.

Le infrastrutture strategiche sono già pronte ad abbracciare il cambiamento: ad esempio l'aeroporto Marco Polo, terzo in Italia, è già in procinto di rafforzare i collegamenti con l'alta velocità ferroviaria. Per Mestre, cancellare definitivamente l'etichetta di "brutto anatroccolo” di Venezia è possibile ma passa dall’imboccare una via fatta di garanzie e certezze per gli investitori, e da un dialogo costante con l'amministrazione, aprendo le porte a una città in cui sognare il futuro di ogni zona sia preferibile al vincolo di un piano regolatore antiquato.

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia