Calcio Venezia, la grammatica dei sentimenti perduti

Una città che è la bellezza del mondo, una città che insegna che cosa è la pazienza. Gli americani hanno infranto il sogno

Roberto Ferrucci
Il presidente del Venezia Duncan Niederauer
Il presidente del Venezia Duncan Niederauer

VENEZIA. I sogni, a volte, si infrangono a primavera. Quando succede è sempre uno choc, una delusione. Soprattutto se a infrangerli è la volontà di qualcuno, che prende in mano il suo giocattolo e decide di farlo a pezzi. È ciò che è accaduto alla squadra del Venezia. Chi ne è al timone ha scelto di buttare a mare un anno e mezzo di risultati, di soddisfazioni, di vittorie insperate che hanno portato al sogno finale, la serie A.

Perché potrà anche accadere che alla fine grazie a questa decisione il Venezia si salvi (ho seri, serissimi dubbi), ma la frattura fra la parte americana dei dirigenti e il resto della città intera, rappresentata in primo luogo dai tifosi, rischia di essere insanabile. Il sogno era ancora lì, a portata di mano, perché i tifosi del Venezia erano consapevoli fin da agosto di quanto duro sarebbe stato salvarsi e, nonostante qualche contestazione, l’attaccamento e l’affetto nei confronti Zanetti, Poggi, Collauto e i giocatori, non è mai mancato.

Sapevamo tutti di essere arrivati fin lassù un po’ per caso e molto per merito proprio dell’allenatore, Paolo Zanetti. Esonerarlo dimostra la poca conoscenza non solo di certe dinamiche del calcio (se proprio lo si doveva fare, bisognava farlo prima), ma anche della scarsa consapevolezza del luogo in cui la proprietà opera: Venezia. Già, non basta ammantarsi dei colori e, soprattutto, di un nome che – quello sì – fa sognare chiunque a ogni angolo del pianeta.

Non basta. Bisogna conoscerne tutti gli aspetti. Tipo che la tifoseria non è come tutte le altre, che la pazienza è nel dna dei veneziani, che sanno cosa significa spostarsi in una città d’acqua, e lo sa anche chi viene al Penzo dalla terraferma: ci si arma di pazienza e si va. E sono in tanti a farlo spostandosi a piedi, attraversando la città, che è sinonimo di bellezza.

Una pazienza che non è soltanto logistica. Abbiamo atteso per decenni il ritorno ai piani alti del calcio, toccando prima (e più volte) le zone basse, i campionati minori. Chi ha voluto infrangere il sogno ne ha forse mai parlato con Marco Modolo, il capitano, arrivato a Venezia in serie D? E ammesso lo abbia fatto, ha capito che cosa significava? Era in possesso di quella impercettibile e ineffabile grammatica che è la grammatica dei sentimenti? Se oggi andate in giro a chiedere, ogni tifoso o anche non tifoso del Venezia vi dirà che avremmo tutti preferito retrocedere con Zanetti ancora sulla sua panchina, guadagnata di diritto per meriti straordinari. O, perché no, salvarci anche, ma sempre e solo con lui in panchina.

Avere infranto il sogno (perché non più tardi di dieci mesi fa potevamo solo sognare di vedere Ibrahimovic fare gol al Penzo), avere rotto il giocattolo, mette a repentaglio tante cose. Un’armonia, intanto, che per quanto in tensione, era pur sempre evidente, perché questa squadra ha fatto un girone di andata sorprendente, era considerata da tutti la sorpresa del campionato.

Avere infranto il sogno rischia poi di dare il via a un effetto domino. Accade spesso: retrocedi male, e poi non ti fermi più. Non solo. Ci sarà ancora quel senso di festa che c’è sempre quando la squadra gioca al Penzo, un Penzo rinnovato, accogliente, luminoso, considerato ormai una sorta di monumento della città? Anche questo rischia di essersi incrinato, per poca comprensione delle sfumature veneziane. Tempo fa, dopo l’ennesima sconfitta, i tifosi hanno contestato la dirigenza fuori dallo stadio, dall’altra parte del canale c’era il gruppo americano, parlavano fra di loro e ridevano.

È stato in quel momento, in quella scena captata per caso, che ho capito che forse non c’era scampo. Sì, hanno infranto il sogno di una città, ieri, eppure ci sarebbe ancora il tempo per ravvedersi, ammetter di non avere ben capito e provare finalmente a entrare dentro al tessuto veneziano. Perché si può, sì, ritornare in serie B – capita, a volte – ma lo si dovrebbe fare con dignità, e non con i soliti sistemi fin troppo italiani. Perché non finiremo mai di ringraziare chi comunque ci ha regalato un anno di A.

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