Vajont, dalla A alla Z: Sirena compone l’abecedario della tragedia
Il nuovo libro in vendita con il Messaggero Veneto. «Dimenticare non è un’opzione, ne va delle nostre vite»
«È un’alluvione come quella del Vajont», ha detto recentemente un direttore di giornale con riferimento alla Romagna. E quanti, di autorevoli, fanno ancora risalire il disastro del 9 ottobre 1963 al crollo della diga?
Oggi c’è chi assume come buoni i risultati della Commissione parlamentare d’inchiesta che parla di un evento catastrofico imprevedibile perché si sapeva che la frana sarebbe potuta cadere, ma non in quel modo e di quelle dimensioni.
«È ora di finirla di raccontarla male», sbotta Toni Sirena, autore de “Il Disastro del Vajont dall’A alla Z”, che da oggi i lettori troveranno accompagnato al nostro giornale, libro edito da Editoriale Programma.
Toni lo conoscono tutti, è figlio della giornalista Tina Merlin, ha coordinato per lungo tempo il Corriere delle Alpi, e in occasione del 60º anniversario mette a disposizione questo abecedario della tragedia che sua madre giornalista aveva previsto, denunciando ogni possibile responsabilità. Prima che accadesse, ovviamente.
Che cos’è un abecedario? “Libro di istruzione elementare per imparare a leggere e scrivere”. Ecco, chi non sa del Vajont e per chi l’ha dimenticato, vada a leggersi queste pagine.
Andiamo, dunque, alla lettera F come Frana. Sirena racconta che non è stata una frana unica, ma si è divisa in due. Due crolli a pochi secondi uno dall’altro. E due onde, quindi.
Lo ha ben spiegato Agostino Sacchet di Longarone a cui Sirena rimanda. «Si pensava, in quei giorni, che venisse giù solo il pezzo di montagna sotto sorveglianza, invece è crollato tutto il resto.
L’ingegner Biadene, quando il geologo Semenza era ancora vivo, aveva preso posizione netta su questa ipotesi. Ma quando Semenza è passato all’Enel e lui è diventato vice capo del rischio idraulico, ha chiesto l’autorizzazione a invasare fino a 715 metri, quindi oltre la quota di sicurezza di 700 metri indicata dall’ingegner Ghetti, arriva a 710, si ferma un po’ per vedere cosa succede e poi svasa gli ultimi giorni perché capisce che accade qualcosa di molto serio e a 740 vien giù tutto.
Però lui scrive anche che “stiamo svasando compatibilmente con le necessità produttive della centrale di Soverzene”, il che vuol dire che fino a un certo punto svasa, ma contestualmente invasa anche perché continua ad arrivare acqua dalla Carbona di Maè.
E solo per un’iniziativa autonoma, indipendente dei tecnici che erano sulla diga, che nelle ultime ore si chiude l’afflusso dell’acqua dalla Carbona».
Toni Sirena riassume così una delle informazioni fondamentali sulla catastrofe di quella notte. Che è indispensabile conoscere per capire che non c’era proprio nulla di imprevedibile per quello che avvenne la sera del 9 ottobre 1963.
La frana viene giù in 19 secondi, informa ancora l’autore dell’abecedario, non in 25 o 30, perché magari si sono conteggiati anche i crepitii e i botti che segnalavano che dentro la frana si stavano rompendo definitivamente gli ultimi fili.
Elencando e spiegando non solo i termini relativi, ma soprattutto i nomi e i cognomi di tutte le persone coinvolte, il libro ha uno scopo preciso: evidenziare ruoli e responsabilità, fatti e problemi che hanno avuto ciascuno un proprio peso specifico, in una ricerca che non può certo dirsi conclusa e probabilmente non si concluderà mai.
Alla lettera M troviamo Tina Merlin, naturalmente. «Ma anche Muller, Mandarino... Io tratto la mamma con molto affetto ma anche con molta discrezione», quasi si schermisce Toni.
«Tina Merlin, in diversi articoli su L’Unità, in particolare il 5 maggio 1959, l’8 novembre 1960 e il 21 febbraio 1961, aveva sollevato dapprima la questione della sicurezza del paese di Erto, poi quella dell’esistenza di un’enorme frana in movimento sul versante idrografico sinistro del bacino» ricorda il figlio.
Dalle E dell’Enel alla S di Sade, passando per la I di Invasi, ma iniziando ovviamente dalla A di Allarmi. Non c’è lettera del disastro che non venga scandagliata da Sirena, in profondità, ma anche in puntuale leggibilità.
Sirena, che è stato autore di numerosi testi riguardanti la storia locale nonché dell’apprezzatissimo volume “Le dighe della provincia di Belluno” (Editoriale Programma, 2016, 8,90 euro), ha deciso di raccogliere e riproporre le parole del Vajont in una forma nuova, quasi enciclopedica: nasce quindi “Il disastro del Vajont dalla A alla Z”, una guida alfabetica da consultare per voci, proposta in allegato con il Messaggero Veneto a partire da domani.
Sirena va ammonendo da anni, anzi da decenni, che il Vajont è solo l’esempio più eclatante di cosa può ancora succedere. «Dimenticare, perciò, non è un’opzione», sottolinea con forza. «Ne va delle nostre vite, ne va del ricordo necessario di chi la sua vita l’ha già persa sessant’anni fa, da un secondo all’altro».
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia