Lapidi e croci, tappe della memoria del Vajont
Nardi Elena anni 10, Nardi Giorgio anni 4, Chiarussi Dora anni 1, De Vecchi Luigi anni 3, De Vecchi Alessandro anni 7, De Vecchi Carlo anni 8, De Vecchi Roberto mesi 4.
Nessun altro luogo del Vajont come il cimitero di Fortogna riesce a spiegare cosa è stata l’onda mortale per queste comunità, Longarone e le sue frazioni, Codissago, Erto e le sue frazioni. È stata una strage di bambini, ne sono morti 487 sotto i 15 anni, un quarto di tutte le 1910 vittime. Ma anche gli altri morti sono giovani, la gran parte sotto i cinquant’anni, gli anziani sono pochi.
La nuova collocazione delle lapidi non permette di rendersi conto fino in fondo dello sfacelo famigliare, ma dentro nella cappella i nomi dei morti sono riuniti per famiglie. Famiglie numerose, anche oltre i dieci componenti: il tessuto vivo dei paesi, il futuro di questa valle. Dopo è stato tutto diverso: una difficile e contestata ricostruzione, una convivenza da costruire con chi, a Longarone ad esempio, ha preso il posto (venendo da fuori) dei 1.450 morti di quella notte.
Il campanile di Pirago
La notte del 9 ottobre, quando i sopravvissuti e i soccorritori sono arrivati a Longarone senza capire dove era e se c’era, si sono trovati davanti al campanile di Pirago, rimasto incredibilmente in piedi insieme con una parte dell’abside e qualcuno ha pensato che forse anche altre case sarebbero state salve. Ma non era così. La chiesa, che non era piccola, era sparita, cancellando i suoi quattrocento anni di storia. Vicino resta il cimitero che quella notte venne travolto dall’onda e lungo il Piave andarono i vecchi morti e le nuove vittime.
Il museo del Vajont
Se si vuole conoscere la storia di Longarone, di come era prima e come cambiò dopo la tragedia, un luogo simbolo è il museo di piazza Gonzaga, aperto nel 2009. Sono quattro le sezioni in cui si sviluppa, dalla vita della vecchia Longarone, alla costruzione della diga, al disastro, alla ricostruzione.
C’è alle spalle un lavoro molto approfondito, ricco di immagini e di documenti, recuperati non senza fatica. Il visitatore resterà incuriosito dal ritratto della Longarone del passato, piena di gente, di attività economiche, di socialità. Ci sono foto di gruppo scattate quella stessa mattina del 9 ottobre. E ci sono video, quelli delle sentenze de L’Aquila, con le immagini delle lacrime sul viso dei superstiti che avevano fatto 700 chilometri per avere giustizia, ma invano.
La chiesa parrocchiale
Costruita tra il 1975 e il 1983, opera dell’architetto fiorentino Giovanni Michelucci, accoglie nel seminterrato il museo Pietre Vive, un reliquario di quello che resta della vecchia e amata chiesa di Longarone. Ci sono i resti delle campane, alcune statue decapitate e immagini delle chiese del paese e del loro destino. Sopra è costruita la chiesa moderna, una struttura ellittica che sale verso il cielo, la via Crucis di Longarone.
La diga
Sono decine di migliaia le persone che ogni anno salgono alla diga del Vajont, anche in pieno inverno. In questi giorni è un via vai di pullman che scaricano i visitatori che arrivano da tutta Italia in cerca di memoria ed emozione. E si fermano molti motociclisti stranieri, qualcuno conoscendo la storia, altri completamente ignari. Grazie alla presenza delle guide, si può visitare il coronamento della diga e passare sopra il baratro di 260 metri dello sbarramento che guarda la gola del Vajont e in fondo alla gola Longarone.
Dall’altra parte emerge la frana, che si innalza per centinaia di metri sopra la diga. Ora su quella frana, che è lunga un paio di chilometri, sono nati dei boschi ed è stata costruita una strada che consente di percorrere il piede della frana e di superarla, andando verso la coda del lago e verso quelle frazioni che erano sul versante del monte Toc e che vennero spazzate via. Ci sono lapidi ovunque lungo la valle del Vajont, a partire dai pressi della diga dove i famigliari degli operai morti sotto la frana hanno voluto ricordare i loro cari.
La ricostruzione
Nel museo del Vajont a Longarone sono esposti numerosi articoli che parlano della ricostruzione di Longarone, che non fu né facile né pienamente accettata dai superstiti: colate di cemento figlie del loro tempo, gli anni ’60, che i longaronesi chiamavano bunker o muraglia cinese. Venne costruita una Longarone nuova, completamente diversa dall’architettura dei paesi vicini e anche delle case che rimasero in piedi. In tutto il paese ci sono grandi fotografie della Longarone che fu. A resistere furono poche abitazioni, un esempio è Palazzo Mazzolà, edificio settecentesco sede del municipio. L’acqua danneggiò la scalinata ma il palazzo resistette, come gli imponenti terrazzamenti, i Murazzi, che sovrastano Longarone.
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