Referendum: lite tra unionisti e autonomisti su turismo e ambiente

Il dibattito all'Ateneo Veneto. Gasparinetti: «La divisione non aumenterà i costi». Fincato e Pellicani: «Per risolvere i problemi serve un grande Comune» 

VENEZIA. È un’atmosfera incandescente quella che accompagna l’assemblea dell’ultima domenica prima del referendum, ieri mattina all’Ateneo veneto. Occasione per tirare le somme, in attesa del voto di domenica prossima che darà indicazioni sul futuro dell’oggi Comune unico.

Al centro, i temi di Venezia e di Mestre, la cui urgenza è evidenziata dall’ennesima giornata di acqua alta. Non sufficiente a fermare i 600 veneziani, che hanno applaudito le ragioni del Sì, non lesinando le critiche agli esponenti del No, tanto da irritare il deputato Pd Nicola Pellicani e l’ex parlamentare Laura Fincato.

Referendum. «Risolvere i problemi del Comune con la separazione è un’illusione: indebolirebbe Venezia e Mestre» esordisce Pellicani. È in disaccordo Marco Gasparinetti, portavoce del Gruppo25Aprile: «Siamo seduti su una miniera d’oro, ma manteniamo una macchina sprecona. Avvicinare l’amministrazione ai cittadini è trasparenza».

In terraferma concorda Maria Laura Faccini, portavoce dell’associazione Mestre Mia: «I veneziani sostengono che i mestrini rubino i soldi alla laguna e viceversa. Due amministrazioni dedicate farebbero l’interesse del territorio». «Chi dice che il sindaco di Venezia non sarà un albergatore o un motoscafista? C’è stata una cattiva amministrazione: cambiamo il sindaco, non sfasciamo il Comune» la provocazione di Pellicani. «La legge del Comune unico è una legge fascista, doveva essere abolita il 25 aprile 1945» sostiene Stefano Zecchi, dal pubblico.

La legge speciale. Un tema che mette d’accordo è la legge speciale. «Va aggiornata e rifinanziata. Ma chi dice che Venezia diventerà a statuto speciale racconta bugie. È l’Italia che deve avere l’orgoglio di tutelare Venezia» dice Pellicani, tra le critiche. Ma trova concorde Fincato: «La Legge Speciale c’è, ma ogni volta dobbiamo lottare. Lo statuto speciale non c’è».

«Serve un’autonomia normativa per la città lagunare» continua l’ex assessora Mara Rumiz «su turismo, commercio, traffico acqueo, ambiente ed edilizia. E autonomia impositiva, differenziando le aliquote fiscali, rendendo più vantaggiosi gli affitti per i residenti rispetto a quelli per i turisti».

«Autonomia normativa in capo a chi? » provoca Gasparinetti. «Nel 2003 c’è chi ha votato “no” sperando nel decentramento con le municipalità. Ma sono destinate a sparire sotto i 250 mila abitanti. Siamo 259 mila».

I temi di Venezia. Le priorità di Venezia le elenca Giorgio Supjei: presidente di Venezia Serenissima, continua la missione di Mario Rigo, del cui pensiero si fa depositario. «I soldi per l’acqua alta dovranno riparare i danni e salvare l’economia veneziana, non rimpolpare le casse del Comune. Vogliamo incentivi per chi viene a vivere in laguna; affittare a un veneziano deve essere più conveniente che gestire un b&b. Non avremo una legislazione speciale se rimarremo con Mestre».

Prosegue Gasparinetti: «Burano è stanca di essere amministrata da un sindaco che non sa cosa sia l’acqua alta». «Non è possibile che Brugnaro dica di non sapere nulla del Mose» l’affondo di Supjei.

I temi di Mestre. Il “sì” non è appannaggio degli abitanti lagunari. «La terraferma è stata il laboratorio sociale degli anni ’90. Porto Marghera è stato luogo di veleni, quindi luogo delle occasioni perse», esordisce Faccini, nell’elencare i temi a cuore dei mestrini.

«Desertificazione delle attività economiche cittadine, mancanza di incentivi per chi vuole aprire delle attività e deviazione del commercio dal centro, in favore dei centri commerciali. Costruzione di alberghi e ostelli con conseguente sovraffollamento dei mezzi di trasporto. Sicurezza e degrado. E crollo demografico, con 25 mila residenti in meno dal 2000, sostituiti da 31.499 stranieri. Questo non interessa alla città d’acqua». «In caso di divisione dei due Comuni, non ci saranno maggiorazioni per gli abbonamenti Actv» sostiene Gasparinetti.

Le ragioni del no. «I trasferimenti di risorse statali per i servizi (sanità, trasporti) sono definiti dagli abitanti. Una città con meno di 80 mila abitanti vedrebbe ridursi drasticamente le risorse» spiega Rumiz. «Venezia ha un enorme patrimonio residenziale pubblico. Se gestito dal Comune, potrebbe essere destinato a giovani e ceto medio. Con la divisione sarebbe difficile arrestare l’espansione degli alberghi in terraferma». Continua Pellicani: «Turismo, grandi navi, bonifica di Porto Marghera, moto ondoso: un pacchetto da affrontare con una grande amministrazione, non con un piccolo Comune». —

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