Da lavapiatti a imprenditore, Jahangir apre il suo terzo hotel

Md Jahangir Alam, bengalese titolare dell’Autoespresso di Marghera, ha creato una società con i nomi dei figli: «Amo la mia città, ho investito tutto e solo qui». A marzo inaugura l’Ambasciata a Mestre

Marta Artico
Md Jahangir Alam
Md Jahangir Alam

Md Jahangir Alam, 40 anni, è arrivato dal Bangladesh negli anni Duemila, ha fatto la gavetta, è andato a bottega da un imprenditore che gli ha insegnato i segreti del mestiere e oggi ha rilevato uno dei simboli di Marghera, l’Autoespresso, trasformandolo in un elegante hotel dove invita i margherini e si mette a disposizione della comunità.

A breve aprirà l’ennesimo albergo finito in disgrazia con il lockdown, l’Ambasciata di Mestre, arrivando a sei strutture ricettive di cui tre hotel e quasi cento camere. Ha dato vita a un marchio che porta il nome dei suoi figli, Atika&Atif, diventato il suo brand, che sul web ha un rating altissimo.

L'hotel che aprirà Md Jahangir Alam
L'hotel che aprirà Md Jahangir Alam

«Non voglio subentrare a qualcun altro» dice «ma lasciare un segno nella mia città, rinnovare e abbellire, portare il mio gusto e la mia esperienza fatta di lavoro».

Quando è arrivato a Venezia?

«Quindici anni fa. Ma era tutto più difficile. Mi sono dovuto arrangiare da solo. Ero poco più che ventenne, ho conosciuto un imprenditore nel settore del turismo a Venezia e ho iniziato dal basso: stavo in portineria, rifacevo le camere, mi occupavo della spesa, ero lavapiatti».

Quando è arrivata la vera svolta?

«Un giorno mi ha detto “Vuoi imparare o solo guadagnare?”. Ho scelto di imparare».

E cosa è successo?

«Nel dicembre del 2014 ho aperto la partita Iva e ho iniziato a gestire il mio primo affittacamere in campo Santa Margherita. Mi sono iscritto a un corso di formazione, in Bangladesh avevo studiato economia due anni».

La lingua così bene come l’ha imparata?

«Ho seguito i corsi di italiano in via Fratelli Bandiera e alla Cita, avevo una insegnante molto preparata, l’ho vista qualche settimana fa, mi ha lasciato un segno».

Lavapiatti, affittacamere e poi gestore di hotel...

«Nel 2017 con i soldi guadagnati ho acquistato il primo appartamento, in via Col di Lana, per recuperarlo e affittarlo. L’ho restaurato, ho ricavato quattro camere con bagno. L’ho reso uno spazio di qualità, curato e raffinato. Oggi si chiama Ca’ Rebeka Venice. Poi, sempre nella stessa strada, è arrivata la Guest House Train Station».

Da Mestre è passato a investire nella Città Giardino?

«Ho seguito un business plan, con delle persone che mi hanno aiutato. Tutto quello che guadagnavo, non l’ho mai messo da parte né usato per me, l’ho sempre reinvestito, accollandomi il rischio»

Qual è il segreto del successo di Atika&Atif?

«Uno: ho capito che la gente cerca la qualità e il servizio. Le recensioni lo dimostrano. A Marghera ho realizzato Villa Gardenia e l’hotel Antica Villa Graziella, anche in quel caso, l’albergo che c’era era stato chiuso col lockdown».

Come le è venuta l’idea di ridare vita all’Autoespresso?

«Passavo sempre per questa strada, lo vedevo chiuso e abbandonato, sembrava una giungla. Durante il Covid ci venivano gli sbandati, così avevano messo le griglie per non far più entrare le persone nella proprietà. Mi sono informato, il mio broker ha eseguito una visura, ho contattato i proprietari che hanno deciso di darmi l’immobile in affitto per 18 anni. L’ho ristrutturato e ottenuto una nuova licenza per ricavare un hotel a tre stelle con 14 camere, ristorante e bar»

Dà lavoro a decine di persone e parecchi italiani...

«Riavviarlo è stato un grosso impegno, ma finora è sempre pieno. Il ristorante propone cucina italiana, ed è aperto la sera, ma da pochissimo anche a pranzo».

Molti stranieri investono nel loro Paese. Lei no. Cosa ne pensa?

«Tutto quello che ho guadagnato l’ho investito a Venezia non in Bangladesh. Durante il Covid ho lavorato sodo per tenere tutte le attività in attivo, ed è stata dura, ma ci sono riuscito».

Prossima avventura?

«A dicembre tramite la mia società ho preso in affitto l’ex l’hotel Ambasciata, in via Fagarè, a Mestre. Sono 23 camere, lo sto ristrutturando e sto chiedendo la nuova licenza. Era stato acquistato da una associazione di romeni per realizzarci una chiesa, ma la pratica non è andata a buon fine, l’hanno venduto a un imprenditore ma nel 2020 si è fermato tutto. Così sono arrivato io»

Quando aprirà?

«Vorrei inaugurarlo nel mese di aprile».

Sogni nel cassetto?

«Crescere e svilupparmi nel settore del turismo».

Ogni tanto fa ferie con la famiglia?

«Per anni non ne ho fatte, l’anno passato qualche giorno in Liguria».

Dove studiano i suoi figli?

«Vanno alla San Gioacchino, è stata una decisione di famiglia. Quello che desidero è che si aprano: la comunità è una sola, deve allargarsi ed essere unita».

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