La coach d’intimità per le star: è veneta e lavora sui set di tutt’Italia

Arianna Quagliotto, nata a Montebelluna 31 anni fa, è una intimacy coordinator, una figura professionale sbarcata da poco in Italia, ma già attiva a Hollywood dove si occupa di tutelare e mettere a proprio agio gli attori durante le scene intime
Alessia De Marchi
Arianna Quagliotto
Arianna Quagliotto

Frangetta corta corta alla Baby Bang, un paio di grandi occhiali tondi, un sorriso aperto e una simpatica “erre” moscia. Chi lo direbbe che la valigia nera che accompagna al lavoro Arianna Quagliotto, nata a Montebelluna 31 anni fa, contiene copricapezzoli, guanti in lattice, slip color carne, reggiseni autoreggenti, mentine in foglietti per baci appassionati, tappetini da yoga, scaldini e persino tappi per le orecchie? Eppure sono gli strumenti fondamentali per una intimacy coordinator, una figura professionale sbarcata da poco in Italia, ma già attiva sui set cinematografici di Hollywood dove si occupa di tutelare e mettere a proprio agio gli attori durante le scene intime.

Quagliotto ha frequentato il primo corso in Italia promosso dall’Anica Academy e tenutosi da ottobre 2023: otto lezioni di quattro ore ciascuna on line e poi una settimana in presenza nella capitale. «Docente tra le altre», dettaglia, «una preparatissima prof in arrivo dal Sudafrica, da un continente in cui le violenze sessuali sono un’emergenza e la sensibilità di fermarle combatterle un’urgenza». E qui in Italia? «C’è molto da fare», risponde sibillina Arianna che vive a Bologna. In queste settimane è alle prese con il cantiere per la ristrutturazione del suo appartamento. Tra un po’ andrà a fare la sua parte: «Oggi ridipingo i termosifoni». Infanzia da discola – «ero un maschiaccio, lo ripeteva disperata la maestra a mamma Giuliana» –, adolescenza da sognatrice – «davanti a me la guida fondamentale di Davide, il mio fratello maggiore che fa il giocoliere ed è stato consigliere comunale a Montebelluna» –, la fascinazione per il mondo punk e poi l’approdo all’universo cinema. Qui ha trovato la sua dimensione.»

Come sono stati gli inizi?

«Un po’ di gavetta, come tutti. Dopo la laurea al Dams, ho messo a frutto un corso di produzione sui set cinematografici che avevo frequentato. Ho iniziato a collaborare a una piccola casa di produzione: portavo caffè, mi occupavo di bandi, amministrazione, scaricavo furgoni. Poi è arrivata la Manetti Bross (quella che produce tra l’altro la serie tivù “L’ispettore Coliandro”, ndr). Facevo la food manager, mi occupavo dei rinfreschini del cast: pane, salame e formaggio, quello che sul set si chiama craft, per resistere alle 10 ore di riprese quotidiane. Insomma mi prendevo cura del benessere di attori, tecnici, regista, ...Si ricordano tutti quella volta che ho portato la soppressa fatta acquistare da mamma nel mio Veneto. Far star bene è sempre stato un mio pallino. E lo è tutt’oggi».

Il suo rapporto con la pornografia?

«Da otto anni mi interesso di pornografia indipendente. Faccio parte di Inside Porn. Siamo un progetto culturale bolognese che promuove la visione di contenuti pornografici con l’obiettivo di creare un dibattito collettivo e aperto attorno alle sessualità. C’è un mondo poco noto, lontano dai facili stereotipi pruriginosi, popolato da grandi pornoartiste. Abbiamo curato per tre anni la sezione porno del festival di cortometraggi “Ce l’ho corto”. Il sesso non è tabù».

Cos’è il sesso per lei?

«Che domanda tosta (si schernisce tradendo una punta di imbarazzo, ndr). Beh, sono libera da ogni pregiudizio, ma resto una romanticona. Adoro i preliminari prima di ogni rapporto intimo e per me il più efficace resta una bella chiacchierata».

Come si svolge il suo lavoro di coordinatrice di intimità sul set?

«Il mio ruolo è garantire gli attori nelle scene intime nel rispetto degli accordi presi in fase di ingaggio. Leggo la sceneggiatura, mi confronto con il cast, il regista e la produzione e faccio in modo che durante le riprese venga tutelata la persona. Controllo che le scene di nudo siano girate come concordato, che non ci siano forzature da nessuna parte, che le riprese non divengano occasioni di violenza. Non censuro, ma facilito. In caso di problemi su posizioni sessuali che imbarazzano, intervengo proponendo alternative o indicando strumenti che preservino l’intimità (barriere tra i genitali per evitare contatti o pressioni, mutande color carne per schivare nudi integrali, protezioni di vario genere, .. .) . A volte per assicurare una maggior riservatezza degli attori si oscurano i monitor e si allontana chi non è direttamente coinvolto nella realizzazione della scena. Intervengo in caso di attacchi panico o ansia, senza sostituirmi a psicologi o terapeuti. Il mio è un altro lavoro. Un tempo l’attenzione al rispetto della nudità era affidata alla sensibilità di costumisti e registi. Adesso c’è una maggior consapevolezza a dir no a molestie e violenze, ma i set non sono ambienti sempre facili, soprattutto quando si respira la soggezione data dal nome del grande regista o dell’attore famoso e a soccombere è magari un’artista alle prime esperienze. Qui il mio lavoro si fa fondamentale, al pari n del coordinatore degli stuntman nelle scene d’azione. Sto fondando con altre colleghe Intimitalia, un’associazione che riunisce intimacy coordinator».

Quando una scena di sesso diventa molestia?

«Quando manca il rispetto, quando c’è la sopraffazione. Io sono in prima linea contro le violenze sessuali nel set come nella vita di tutti i giorni». 

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