Venezia senza voce: il teatro come chiave per la rinascita

Oggi, il turista che arriva si trova di fronte a una città-museo, non a una città che vive e respira cultura: la città non ha più spettacoli permanenti che raccontino la sua storia. E se guardassimo a Broadway?

Nicolò Polesello

A cosa serve il teatro? A far sì che questa domanda non venga più posta. Perché, quando incontri davvero il teatro, quando lo vivi, quando diventa parte della tua esperienza, capisci che non è una questione di utilità, ma di necessità. Il teatro aiuta a plasmare una visione dell’invisibile, di ciò che ancora non c’è. Esso è il luogo reale in cui tutto è possibile, anche l’immaginario. Eppure, Venezia, patria delle maschere e dei costumi, città che per secoli ha fatto del teatro e della teatralità la sua essenza primaria, ha smarrito, tra le molte cose, anche questa consapevolezza.

Parliamo di una città che, grazie ai flussi turistici, cambia pubblico come le maree, costantemente e senza sosta, ma che non ha più un palcoscenico stabile per raccontare la sua storia e la sua identità. Prendiamo ad esempio una delle grandi capitali culturali europee, Berlino. Lì, il tessuto artistico si è reinventato, trasformando spazi abbandonati in fucine di sperimentazione. Berlino non ha mai smesso di essere una città viva, nonostante la sua frammentazione.

Venezia, al contrario, dallo scandalo Mose e il conseguente commissariamento, ha assistito alla progressiva chiusura dei suoi spazi teatrali, perdendo il filo di un racconto che l’ha sempre definita nei secoli. Oggi, il turista che arriva si trova di fronte a una città-museo, non a una città che vive e respira cultura. Ma se la cultura è ciò che fa percepire l'identità di una città, come può un visitatore capire davvero cosa sia Venezia senza incontrarla sul palcoscenico?

Venezia non ha più spettacoli permanenti che raccontino la sua storia. Non esiste una programmazione stabile dedicata alle sue figure iconiche, conosciute a livello internazionale. Mi riferisco a personaggi come Gozzi e Goldoni, alla commedia dell'arte, alle grandi opere ambientate tra le sue calli e i suoi palazzi, e a tutto un substrato che giace sotto il fango sedimentato da anni di negligenza e scarsa progettualità culturale. Non vi è un luogo in cui, ogni sera, tutto l'anno, un pubblico nuovo possa scoprire, attraverso il teatro, la vera anima della Serenissima.

A Broadway alcuni spettacoli sono in cartellone da decenni, e ciò è possibile perché il pubblico cambia ogni sera. Perché Venezia non può adottare lo stesso modello? Non serve inventare un nuovo repertorio: serve renderlo vivo ogni giorno, in un circuito di teatri che collaborino per offrire esperienze continue. La città ha le strutture, i talenti e la storia per farlo. Esistono spazi chiusi da anni che potrebbero tornare a essere centri pulsanti di creatività. Vi sono teatri che cercano una loro stabilità e che potrebbero diventare fulcri di sperimentazione. E poi ci sono i grandi palcoscenici che, invece di limitarsi a una programmazione frammentata, potrebbero ospitare rassegne continue sulla tradizione veneziana e potenziare la loro rete, convenzionandosi dinamicamente con le strutture alberghiere e ricettive, anziché attendere immobili, come un ragno che aspetta che qualcuno inciampi nella tela delle loro proposte di cartellone.

Venezia soffre di una crisi identitaria che dura da anni. Il Carnevale, con capofila quello appena trascorso, che è riuscito nel miracoloso intento di risucchiare l’anima di Casanova, imprigionandolo in una prigione ben più oscura di quella dei Piombi, un tempo era un’espressione autentica della città.

Oggi, invece, è diventato una messinscena senz'anima, una vetrina che non dialoga più con il tessuto cittadino. La cultura è entrata in secca, come le acque di una laguna inaridita. Ma il pubblico di Venezia è unico: cambia ogni giorno, come le maree. Questa instabilità può diventare una forza, se viene canalizzata in un'offerta costante, capace di attrarre ogni sera spettatori diversi, senza dover mutare l'opera, ma solo rinnovando chi la guarda. La cultura deve tornare a fluire. Non servono eventi isolati, ma un sistema che permetta di vivere Venezia attraverso il teatro. Immaginate un pubblico, composto da cittadini e turisti, che possa entrare in un teatro e trovare, ogni sera, un pezzo di Venezia raccontato dal palcoscenico. Non c'è bisogno di costruire nulla di nuovo: Venezia ha già tutto. Ha i suoi autori, la sua tradizione scenica, le sue storie. Ha luoghi che attendono solo di essere riaperti. Ha artisti che aspettano un'opportunità per restare. Ciò che manca è la volontà di riportare il teatro al centro della città.

Se Venezia vuole smettere di essere una città svuotata e tornare a essere un luogo vivo, deve riscoprire il teatro come parte della sua identità. Allo stato attuale, Venezia non può permettersi di rimanere in silenzio. Il teatro, dunque, non è solo un'opzione, ma una chiave per far tornare la città a essere vissuta, non solo visitata.

Per rendere concreto questo cambiamento, serve un progetto che coinvolga teatri, istituzioni e artisti in un piano di lungo periodo. Occorre un piano di recupero degli spazi abbandonati, incentivi per le compagnie teatrali, una riorganizzazione delle risorse disponibili. Serve una visione che vada oltre la stagionalità e trasformi il teatro in un elemento essenziale della vita quotidiana della città. Bisogna lavorare a una rete teatrale che colleghi la laguna alla terraferma, coinvolgendo realtà già esistenti e creando nuove opportunità di scambio.

Bisogna far sì che la Biennale Teatro non sia solo una vetrina temporanea, ma il cuore di una programmazione stabile, capace di collaborare per una visione più ampia. Venezia non ha bisogno di altro turismo superficiale: ha bisogno di un pubblico che incontri la sua storia e la sua arte, per iniziare a comprendere che i suoi passi non si limitano a calcare il suolo, ma la guidano verso tutto ciò che, grazie a un humus culturale fertile, vi nasce, la abita e la trasforma in un luogo in cui tornare.

Tornare per vedere meglio. Tornare per vedere ancora. Tornare per vedere di più. E portarsi a casa, a ogni incontro con la sua storia e la sua cultura, un piccolo pezzo invisibile della più bella città del mondo

 

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia