Incentivare la residenzialità abbassando le tasse si può fare
Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha confutato la posizione dell’Agenzia delle Entrate, stabilendo che la cedolare secca si applica anche alle foresterie e questo può contribuire a mitigare il problema del mercato locativo
Uno dei più apprezzati strumenti fiscali nel settore delle locazioni immobiliari è la celeberrima “cedolare secca” che consente al proprietario di tassare i redditi locativi ad una aliquota agevolata (21% o 10%) e che sostituisce l’aliquota IRPEF applicabile (che arriva fino al 43%). La cedolare secca è prevista solo per le locazioni abitative e l’Agenzia delle Entrate ne esclude l’applicazione ai casi in cui il conduttore non sia una persona fisica ma un’impresa che affitta l’abitazione per i propri dipendenti, come ad esempio le foresterie, quegli alloggi dedicati all’ospitalità temporanea.
Ecco la novità: la recente sentenza n. 12395/2024 della Corte di Cassazione ha confutato la posizione dell’Agenzia delle Entrate, stabilendo che la cedolare secca si applica anche alle foresterie. È una novità che dobbiamo accogliere con favore perché può contribuire a mitigare il problema del mercato locativo.
Infatti, è evidenza statistica che il prezzo degli affitti è aumentato nei grandi centri urbani. Si pensi alle cosiddette “città alfa”, ovvero alle grandi città iper-attrattive, come possono essere Milano e Roma, dove il canone locativo continua a crescere esponenzialmente.
L’aumento dei prezzi medi degli affitti però non è solo relativo al meccanismo della domanda e dell’offerta, quindi ad un aumento quantitativo di chi vorrebbe trasferirsi in una determinata città rispetto al numero di abitazioni disponibili che in questa logica diventano una risorsa scarsa, quanto anche ad altri due fattori contingenti del mercato: l’aumento dei tassi d’interesse che scoraggia le compravendite e l’impennata dell’inflazione.
La contrazione del mercato delle compravendite immobiliari, dovuta alla crescita dei tassi di interesse, ha reso più difficile per le famiglie l’accesso ai mutui: nel 2023 si è registrata una riduzione del 10% nel numero di compravendite rispetto al 2022. Le famiglie che non riescono ad acquistare un’abitazione, evidentemente, sono costrette ad andare in affitto. Se inoltre interviene una inflazione galoppante la frittata è fatta.
La domanda di abitazioni in affitto, dunque, è molto più alta dell’offerta, con la conseguenza che gli inquilini non riescono a trovare casa e i canoni di locazione si impennano. Un dato su tutti: nel decennio 2014 – 2024 il prezzo medio degli immobili è sceso del 6,6% mentre il canone di locazione medio è aumentato del 49,8%!
La situazione invece dal punto di vista del proprietario immobiliare è spesso altrettanto difficile: affittare un immobile, infatti, può diventare una vera e propria sciagura e chi può, perché ha la fortuna di non averne la necessità economica, lo evita.
Il peso fiscale sugli immobili è molto alto e, in caso di morosità o danni, le procedure giudiziarie sono estremamente dispendiose, con tempi incerti e lunghi. Per uno sfratto, ad esempio, si deve mettere in conto almeno un anno, un lungo periodo durante il quale il proprietario non percepisce entrate ma deve sostenere solo costi, versare tasse, pagare avvocati e districarsi tra ufficiali giudiziari e contributi unificati.
Per questo motivo, molti proprietari preferiscono tenere le case sfitte. La sentenza della Corte di Cassazione che estende l’applicazione della cedolare secca è quindi una buona notizia. Attendiamo ora che l’Agenzia delle Entrate recepisca questa indicazione e, soprattutto, che il Legislatore intervenga sulle procedure giudiziarie, riducendone drasticamente i tempi e i costi.
La speranza è che interventi come questi contribuiscano, almeno in parte, a ridare un po’ di ossigeno all’offerta locativa riportando sul mercato immobili che ora i proprietari preferiscono tenere sfitti.
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