Zaia al centrodestra: «Autonomia o il prossimo governo non dura»

Il presidente del Veneto avverte gli alleati. Le altre priorità elencate da Salvini sono abolizione della Fornero e quota 41, stop sbarchi e flat tax

Laura Berlinghieri

«L’autonomia vale anche la messa in discussione di un governo». A una settimana esatta dal voto, Luca Zaia lo scandisce dal palco più importante per la Lega: quello di Pontida. Davanti a lui, una folla in estasi, che gli tributa l’applauso più intenso, secondo solo a quello per il segretario Matteo Salvini.

«PRIMA L’AUTONOMIA»

È il “suolo sacro” del Giuramento del 1167, rinnovato ieri con la firma del «Patto della Lega in sei punti»: stop bollette, flat tax, giustizia giusta, quota 41, autonomia e decreti sicurezza. I leader del Carroccio sanno che una promessa da quel palco assume un valore unico. E a una settimana dal voto paradossalmente più temuto – quello che dovrebbe riproiettare la Lega al governo, in un ruolo da comprimaria rispetto a Fratelli d’Italia –, Zaia tiene a rimarcare i pesi della coalizione.

Zaia da Pontida: "L'autonomia vale anche la messa in discussione di un governo"

Parlando agli elettori disorientati dai possibili, nuovi equilibri; ma mandando anche un chiaro messaggio a chi, questi equilibri, potrebbe governarli dal 25 settembre: «L’autonomia è un’assunzione di responsabilità. È un’altra cosa rispetto al vendere il fumo della secessione. Non ci sono più scuse, sono 50 anni che parliamo di essere “paroni a casa nostra” e che dimostriamo di essere più bravi di Roma a gestire le competenze sul territorio. Chiunque vada a governare non credo avrà scelta» dice il presidente veneto, affiancato da tutti (meno due: Roberto Marcato e Gianpaolo Bottacin) i consiglieri regionali della Lega, srotolando il gonfalone di San Marco.

L’autonomia è la vera richiesta che si alza dagli elettori veneti, come è ribadito anche da uno striscione che si leva sotto il palco: «Il 98,1% dei veneti vuole l'autonomia. Salvini, siamo stanchi, ragionaci sopra». Come Zaia, parlerà di autonomia anche il presidente del Friuli Massimiliano Fedriga.

IL PATTO IN SEI PUNTI

Ma tutto si giocherà sulla delicata sintesi da raggiungere con Giorgia Meloni. Sotto il palco c’è chi borbotta: «La Lega che si fa governare da Roma, questo è il colmo». Ma anche nel partito che propagandava il verbo del “Prima il Nord” soffia un vento nuovo.

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Non è più tempo per il “Senatùr” Umberto Bossi: «Domani compirà 81 anni, è a casa a festeggiare con la famiglia» spiega Salvini dal palco, spegnendo le speranze di chi credeva che fosse la sua presenza la «grande sorpresa finale» annunciata da giorni dal leader leghista. E invece il leader che fu ha declinato l’invito.

Occasione per il “Capitano” per arringare la folla, da vero protagonista – i più maliziosi mormorano: «Per l’ultima volta».

Poco male, il suo discorso è un concentrato di vecchie e nuove promesse elettorali. Ci sono i sei punti del patto: basta rincari dell’elettricità e nucleare sicuro; autonomia; flat tax e pace fiscale («Pagare tutti, pagare meno»); abolizione della legge Fornero e introduzione di “quota41”; stop agli sbarchi («Al primo Consiglio dei ministri, riscriverò i decreti sicurezza»); riforma della giustizia.

Non solo. Salvini promette che abolirà il canone Rai. Si scaglia contro il numero chiuso a Medicina: «Abbiamo un enorme bisogno di medici nei nostri ospedali». Si sbilancia persino sul toto ministri: «Giulia Bongiorno, assente perché col Covid, sarebbe un ottimo guardasigilli. E poi un medico alla Salute e un diplomatico agli Esteri».

Saluta Enrico Letta, a Monza con gli amministratori del Partito Democratico, e lo invita a passare da Pontida, per un panino con la salamella. Dedica un pensiero a «Giorgia e Silvio. Andiamo d’accordo su quasi tutto e governeremo per cinque anni». Con quali equilibri? «Per me sarebbe un onore essere scelto da Mattarella come Presidente del Consiglio».

Si lascia sfiorare appena dalla questione dei fondi russi: «Non ho mai visto un rublo». E sulle pericolose tentazioni ungheresi dice: «Io rispetto le scelte democratiche di tutti».

LA NOSTALGIA DI BOSSI

A proposito di echi “orbaniani”, nemmeno il vicesegretario veronese Lorenzo Fontana ne è esente: «In Ungheria, Orban ha vinto democraticamente le elezioni, solo contro tutti» dice.

Solo un passaggio di un discorso che in realtà sarà in larga parte dedicato al “padre” del raduno di Pontida. Ancora Bossi, presenza impalpabile in una Pontida che probabilmente non riconoscerebbe più.

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«La battaglia della Lega iniziò qui tanti anni fa, da gente stanca di pagare fior di tasse senza che lo Stato venisse loro in aiuto. Io, da veneto, non posso dimenticare che il mio era un popolo povero. Ma che, grazie al frutto del suo lavoro, ha avuto la sua riscossa economica. Poi arrivarono Bossi e la Lega e, da periferia dell'Impero, il Veneto tornò protagonista».

Amarcord di una Lega che non esiste più. Intanto il ministro dello Sviluppo economico e vicesegretario della Lega Giancarlo Giorgetti, pur zoppicante, sale sul palco. Applauditissimo, come il presidente del Carroccio alla Camera Riccardo Molinari. Né Giorgetti, né Zaia, né Fedriga nomineranno Salvini nei loro discorsi: che il nuovo corso della Lega sia già cominciato?

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