Fondazione Return: «Nubifragi, dobbiamo prepararci. In Veneto aumenteranno dal 20% al 50%»

L’allarme legato al cambiamento climatico è lanciato dagli studiosi della fondazione, a cui partecipa l’Università di Padova
Sergio Frigo
Un’immagine dall’alluvione in Emilia-Romagna
Un’immagine dall’alluvione in Emilia-Romagna

I cambiamenti climatici, e in particolare le recenti precipitazioni, hanno evidenziato l’importanza di avere – ora e nel prossimo futuro – infrastrutture in grado di reggere all’impatto dei fenomeni estremi che si presenteranno sempre più spesso anche nelle nostre zone.

Padova con la sua università si conferma centrale negli studi sugli effetti dei cambiamenti climatici, in particolare nella gestione dell’acqua.

Di recente la Facoltà di Ingegneria ha ospitato uno dei primi meeting della Fondazione Return, partenariato promosso dal Ministero dell’Università coi finanziamenti del Pnrr, che raccoglie una quarantina tra atenei, enti pubblici di ricerca, enti economici, fondazioni e accademie e la Protezione civile, e ha l’obiettivo di potenziare la ricerca sui rischi ambientali, naturali e antropici e promuovere strategie di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico.

Il progetto

Un progetto imponente, con un budget di 115 milioni di euro e oltre 800 studiosi coinvolti, circa 150 ricercatori e 80 dottorandi arruolati ad hoc, articolato in otto sezioni (acqua, frane ed erosioni, terremoti e vulcani, degrado ambientale), quattro delle quali trasversali (impatto degli eventi estremi sulle popolazioni, le infrastrutture e gli abitati, studio dei cambiamenti climatici e comunicazione, per promuovere comportamenti virtuosi nella cittadinanza).

Capofila dell’iniziativa è l’Università Federico II di Napoli, Padova gestisce col Politecnico di Milano la sezione dell’acqua, con 15 milioni di budget, e collabora alla sezione sulla mitigazione e l’adattamento del rischio.

I due referenti padovani dell’iniziativa sono Marco Borga, del Dipartimento di territorio e sistemi agroforestali, e Marco Marani, del Dipartimento di ingegneria civile, edile e ambientale, direttore del Centro Studi sugli impatti dei cambiamenti climatici, di cui parliamo qui sotto.

Situazione drammatica

Che la situazione sia drammatica è un dato acquisito fra tutti gli studiosi, mentre gran parte dei cittadini oscilla ancora tra la rimozione e il fatalismo e una certa politica rinvia le scelte indilazionabili ma impopolari.

I dati da cui partono i ricercatori di Return parlano di “7.348 eventi naturali disastrosi (esclusi quelli biologici e tecnologici) che negli ultimi vent’anni hanno colpito a livello globale oltre 4 miliardi di persone, con circa 3 trilioni di dollari di danni (aggiornati all’inflazione del 2019), raddoppiati rispetto al ventennio precedente; 600mila le frane registrate nell’ultimo secolo, una media di due per ogni kmq”.

E il futuro?

Se ci ha impressionato la violenza dell’alluvione dell’Emilia-Romagna prepariamoci nei prossimi decenni, avvisa Marco Marani, a “ulteriori incrementi di intensità delle precipitazioni estreme che nel Veneto varieranno tra il 20 e il 50%, soprattutto nelle zone di confine tra Padova, Treviso e Vicenza”. Un terzo delle zone costiere italiane invece saranno interessate dall’erosione e dall’innalzamento dei mari.

Il professor Andrea Rinaldo, il Nobel padovano dell’acqua, ha confessato di recente non dormire di notte pensando a quanto sta per accadere alla sua Venezia: “Se non si interviene subito entro il 2100 il livello mare crescerà di 70 centimetri, senza contare la subsidenza. Il Mose dovrà essere alzato 260 volte l’anno, con effetti devastanti sulla portualità e sull’ambiente lagunare, mentre la città franerà su se stessa, diventando di fatto inabitabile”.

Ecco dunque la questione: cosa fare, come approntare misure di adattamento, considerato che affrontare le cause – per quanto stranote - del riscaldamento globale non pare al momento alla nostra portata. “Return vuole gettare dei ponti – spiega il professor Francesco Ballio del Politecnico di Milano – fra le conoscenze oggi disponibili sulla questione climatica e gli interventi da realizzare per adattarsi ai cambiamenti. L’idea è affrontare il problema in ottica globale, ma realizzando “prodotti” specifici, scientificamente accreditati (metodologie di lavoro, software) a disposizione delle istituzioni, e in particolare dei gestori del territorio: amministrazioni, consorzi di bonifica, agenzie regionali per la protezione ambientale, gestori di infrastrutture come le ferrovie ma anche imprese private. Proponiamo ad esempio servizi web per analisi dei problemi e in particolare la tecnologia del Digital Twin, il gemello digitale ad esempio di un’infrastruttura, che ci consenta di prevedere che cosa le accadrebbe se si verificassero determinate condizioni”.

Poiché il clima è cambiato e verosimilmente cambierà ancor più nel futuro, progettare adesso come si faceva nel passato è non solo inutile, ma pericoloso. Le proiezioni degli studiosi di Return diranno dunque a chi di dovere come dovranno essere le nuove infrastrutture, quanto alti i ponti, quanto robusti gli argini dei fiumi, di che dimensione i canali scolmatori e i bacini di laminazione, chiamati a intercettare piene massicce e improvvise. Nella speranza che la politica destini le scarse risorse disponibili a progetti essenziali per la nostra sicurezza, piuttosto che sprecarle in opere faraoniche e di scarsa utilità.

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