Effetto cemento: il caso Padova. Nella stessa città tra due quartieri ci sono 9 gradi di differenza
Il caldo non è uguale per tutti. Anche quello della terza ondata di questa estate rovente risulta più difficile da sopportare in certe zone della città, quelle più urbanizzate, e per le categorie più vulnerabili, accentuando le disparità sociali esistenti.
La zona industriale, l’area della Fiera, la Stanga, l’Arcella, la parte sud della Mandria e le piazze sono gli “hotspot” nei quali le ondate di calore trovano casse di amplificazione e dove le temperature risultano sensibilmente più alte.
Per contro, ci sono aree della città dove si soffre meno: Ponterotto, Sacro Cuore, Montà, Città Giardino e Brentelle.
Tra il Portello e il Basso Isonzo, dove sono state installate nuove stazioni meteo, anche nelle ultime notti si registrano più di dieci gradi di differenza.
Niente di nuovo se si considera che l’anno scorso le notti tropicali (cioè con più di 20°) registrate dalla stazione Arpav di Legnaro erano state 44, mentre al Portello se ne erano contate 76 e al Basso Isonzo soltanto 27.
Ma se le “isole di calore” ci consentono di individuare dove si soffre di più, per capire chi se la passa peggio bisogna ragionare sull’indice di rischio correlato per la giustizia climatica.
Ed è a questi due aspetti - l’impatto delle ondate di calore e il rischio per le persone più fragili - che sono stati dedicati due studi del gruppo di ricerca del Centro di Eccellenza Jean Monnet sulla giustizia climatica (Dipartimento ICEA, Università di Padova) e del Master di II livello in GIScience e SPR che sono stati pubblicati nei giorni scorsi sulle riviste scientifiche Landscape and Urban Planning e International Journal of Geo Information.
Per entrambi gli studi sono stati adottati gli approcci della Scienza dell’Informazione Geografica (GIScience) che hanno consentito di analizzare immagini multispettrali dei satelliti Landsat 8 e 9 (NASA/USGS) e quelle di Sentinel-3 (Programma Copernicus, Ue) e di integrare i dati demografici, sociali ed economici nell’analisi di rischio climatico per evidenziare sul territorio gli hotspot e le criticità associate in termini di giustizia climatica.
Le premesse
Lo studio si riferisce alle tre ondate di calore del 2022: quella del 2-7 giugno (35,1°), quella del 21-23 luglio (36,1°) e quella del 4-8 agosto (35,8°). Lo scenario è quello di una città che è quinta in Italia, fra quelle con almeno 100 mila abitanti, per consumo di suolo, avendo il 50% del territorio cementificato.
Condizioni ideali - si fa per dire - per accentuare l’effetto delle ondate di calore. E infatti nelle zone più povere di verde (per esempio il centro storico e quartieri a nord, dove l’indice è di 1,10 mq di verde per abitante) si sono registrate temperature di 41,4°.
Gli studi hanno consentito di stabilire che per ogni 10% in più di superficie cementificata, le temperature aumentano di 0,3°.
Le zone di Padova più a rischio
Per calcolare gli indici di rischio, il gruppo di ricerca ha individuato cinque categorie fragili: gli anziani over 65, gli anziani soli, i bambini fino a 5 anni, i migranti e i nuclei familiari a basso reddito (sotto i 10 mila euro l’anno).
L’indice, inteso come somma ponderata della vulnerabilità, dell’esposizione al calore e della pericolosità dello stesso, ci consegna mappe di rischio per ogni categoria.
Così scopriamo che per i bambini le zone critiche sono quelle della Fiera, dell’Arcella, di San Bellino.
Per gli anziani over 65 le zone critiche sono le piazze, San Bellino e Savonarola, ma anche San Giuseppe e Prato della Valle, dove c’è un’elevata presenza.
Per gli anziani soli, ai quali si aggiunte il rischio correlato della mancanza di supporto in casa, le aree critiche sono il centro storico e i quartieri limitrofi.
Per i migranti l’Arcella, la zona della Stazione, San Carlo e la Fiera.
Per le famiglie a basso reddito, la zona nord-est della città e la stazione. Per queste categorie l’impatto sulla salute è più forte, con aumento del disagio termico, disturbo del riposo e nei casi più gravi anche problemi di salute mentale e comportamenti aggressivi.
L’impatto delle ondate di calore, infatti, si fa sentire soprattutto su chi ha già problemi di salute ma anche in chi è meno attrezzato per fronteggiare le situazioni di disagio, si pensi soltanto alle case meno isolate o senza climatizzazione.
Dove soffrono gli anziani
Il secondo studio ha mappato le isole di calore nell’area urbana e periurbana di Padova definendo una mappa del rischio derivante dallo stress da calore sugli anziani di età superiore ai 65 anni. «Su un’area urbana e periurbana di 31 Comuni», spiega Valeria Todeschi (Joint Research Center della Commissione Europea), «le aree dove l’intensità delle isole di calore è più elevata (8-10 gradi di anomalia intesa come temperatura al suolo) sono individuate a Padova (est, nord e centro storico), Mestrino (settore sud), Rubano, Abano e Ponte San Nicolò.
Le aree comunali con anomalie termiche negative, più fresche, sono Teolo e Polverara. Le differenze di temperatura fra le prime e queste ultime due ha raggiunto anche gli 11 gradi».
Cosa fare ora? Le soluzioni dei ricercatori
Se il caldo non colpisce tutti nello stesso modo, anche le strategie di mitigazione del rischio - in particolar modo quello correlato alle isole di calore - non possono ignorare la giustizia climatica.
«Il rischio è maggiore in base al diverso grado di esposizione (la dimensione spaziale e temporale delle isole di calore e l’entità), la suscettibilità demografica (anziani, bambini e residenti stranieri), i fattori socio-economici e culturali», spiega Francesca Peroni, ricercatrice esperta di consumo di suolo.
Così, segnala lo studio, «comprendere la dimensione del “dove” e del “chi” combinato è interessato dal rischio correlato al calore diventa essenziale per sostenere misure di adattamento inclusive e più giuste, rafforzando l’importanza di considerare le disuguaglianze sociali nella pianificazione urbana per l’adattamento ai cambiamenti climatici».
È soprattutto su questo aspetto che mette l’accento lo studio del gruppo di ricerca del centro Jean Monnet.
Che infatti suggerisce un paio di ulteriori riflessioni: «È importante indagare meglio in che modo l’attuazione dei piani di adattamento climatico potrebbe influenzare direttamente o indirettamente la vulnerabilità delle popolazioni urbane svantaggiate poiché le strategie e le normative potrebbero esse stesse esacerbare, mantenere o ignorare le disuguaglianze presenti e future creando ingiustizia e interventi diseguali», spiega Salvatore Pappalardo, docente di “Cambiamenti climatici e adattamenti negli ecosistemi e nelle società”.
Evitare nuovo consumo di suolo e depavimentare
E ancora: «Poiché la nostra comprensione della dimensione spaziale delle vulnerabilità sociali al rischio climatico rimane limitata, la progettazione - così come i criteri per i piani di adattamento urbano - dovrebbero essere basati sui dati in modo da identificare prima le priorità in termini di aree di intervento». Nel caso di Padova, aggiunge lo stesso Pappalardo, resta comunque prioritario «evitare nuovo consumo di suolo e mettere in atto misure di compensazione che prevedano anche la depavimentazione di aree critiche».
«Le ricerche», aggiunge Massimo De Marchi, coordinatore del centro Jean Monnet sulla Giustizia Climatica, «rivelano l’urgenza di attivare strategie e misure efficaci di adattamento, che rispondano anzitutto al rischio climatico differenziato delle ondate e isole di calore urbano, modulando gli investimenti e la realizzazione sul territorio di soluzioni “Nature-based” in funzione di priorità legate al “dove” e al “chi vive”.
Per far questo bisogna pensare alle città come a un ecosistema complesso e sensibile, dove le poche aree verdi vanno fortemente implementate e distribuite, per diventare ecosistemi funzionali e resilienti al cambiamento climatico, in sinergia con il sistema di acque superficiali della città e nel rispetto dei diritti delle categorie più deboli e meno abbienti».
Ma prima ancora, casomai ci fossero ancora dubbi, bisogna fare i conti con il fatto che queste ondate di calore saranno sempre più normali. «Non si tratta più di eventi meteorologici estremi sporadici», sostiene Edoardo Crescini, dottorando al dipartimento Icea. «Insomma, non è caldo eccezionale ma l’evidenza sintomatologica del clima che cambia, sotto i nostri occhi e sulla nostra pelle, trasformando le anomalie climatiche in normalità. Se prima certi eventi potevamo aspettarceli due volte in un secolo, ora capitano due volte in dieci anni». —
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