I vescovi del Triveneto al funerale del Papa: «Uno straordinario momento di Chiesa»

Dopo le esequie i Pastori della Chiesa veneta hanno incontrato i giovani del Giubile a San Paolo fuori le Mura.  Il Patriarca Moraglia: «Segni di speranza anche per la società secolarizzata». Cipolla con i giovani: «La vostra sensibilità ci riempie di entusiasmo»

Edoardo Fioretto
Il vescovo di Padova, monsignor Claudio Cipolla
Il vescovo di Padova, monsignor Claudio Cipolla

È arrivato appena in tempo su un motorino. Da San Pietro a San Paolo, il passo è breve solo sulle mappe.

Non nella realtà di chi ha dovuto dividersi tra il dolore e la speranza. Il vescovo di Padova, Claudio Cipolla, era presente tra i fedeli che hanno salutato per l’ultima volta papa Francesco.

Una cerimonia solenne, densa di silenzi più che di parole, che si è conclusa a mezzogiorno.

Da lì, liberatosi appena possibile dalla morsa dei pellegrini e delle code ai varchi, è partito senza indugi verso San Paolo fuori le Mura. Ad aspettarlo, un altro compito: incontrare in qualità di delegato della Conferenza episcopale del Triveneto i dodicimila ragazzi del Nord Est, giunti per il Giubileo degli adolescenti, unico appuntamento superstite del sabato dopo la cancellazione della festa prevista al Circo Massimo.

Il viaggio del vescovo, però, era iniziato prima.

Venerdì, era salito su uno speciale treno charter organizzato dalla Diocesi di Padova: cinquecento ragazzi dalle parrocchie della città, un centinaio di accompagnatori, una lunga notte di sogni confusi tra le carrozze di un Intercity diretto alla capitale.

«È entusiasmante vedere come ci siano anche dei ragazzi che restano sensibili alle questioni spirituali», aveva confidato Cipolla durante il viaggio. «Li ho visti attenti e concentrati. Sono sicuro che un giorno si porranno delle domande importanti, e dobbiamo essere certi che ci sia qualcuno pronto ad ascoltarle».

In San Paolo fuori le Mura, il pomeriggio ha preso forma lentamente.

Ragazzi di ogni angolo del Veneto, del Friuli, del Trentino, hanno riempito la basilica e i chiostri come un fiume calmo. Qualcuno si è seduto sui muretti, altri hanno steso magliette e cappellini sul prato, mischiando colori e dialetti.

Alla fine di ogni funzione il vescovo si è fermato a parlare con loro, strette di mano, battute semplici, volti incuriositi. Un modo per creare quel legame silenzioso che resiste più di qualsiasi omelia.

Poche ore prima, in Piazza San Pietro, Cipolla aveva avvertito il peso e la forza di una Chiesa che si apre al mondo. «Questa mattina ho avuto la sensazione dell’universalità della Chiesa», ha raccontato. «Non soltanto per la sua estensione, ma perché è mandata a servire tutto: la persona, il mondo, non solo sé stessa o i credenti».

Parole che risuonavano ancora più forti alla luce di quanto accaduto poche ore prima: il colloquio privato, e inatteso, tra il presidente Trump e il presidente ucraino Zelensky, all’interno della basilica. Un gesto di riconciliazione, più potente di molti summit ufficiali, che secondo molti osservatori ha mostrato ancora una volta la forza conciliatrice che papa Francesco ha saputo imprimere alla Chiesa universale.

A Roma era presente anche il patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, che ha sottolineato come l’omelia del cardinale Giovanni Battista Re abbia saputo riassumere le cifre del pontificato di Francesco: l’attenzione agli ultimi, il rifiuto della cultura dello scarto, l’invito costante all’incontro e al dialogo.

«Le principali caratteristiche del suo pontificato sono state proprio queste», ha detto Moraglia. «La cultura dell’incontro, applicata tanto alla politica internazionale quanto alle relazioni quotidiane tra le persone».

«I due giubilei», ha continuato Moraglia, «quello della Misericordia e quello che stiamo celebrando, segnano le pietre miliari del suo ministero. Oggi abbiamo assistito a un momento straordinario per la Chiesa, che lascia un segnale di speranza per una società secolarizzata. Una traccia profonda, destinata a toccare anche chi non crede».

Piazza San Pietro, con i suoi duecentomila pellegrini, ha offerto uno “spioncino” sull’anima del mondo.

«Un caleidoscopio che ha rappresentato tutto il mondo, esprimendo il cordoglio e l’affetto di tutti», ha concluso Moraglia. «Un’affermazione silenziosa, ma potente, di quella fraternità che Francesco ha testimoniato fino all’ultimo giorno».

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia